Di libri scritti male purtroppo il mondo ne è pieno.
Certi per fortuna vengono “stoppati” prima che facciano troppi danni, altri invece rimangono per parecchio… e ahimè vendono pure.
In realtà, un libro scritto male difficilmente avrà lunga durata.
Non capisco perché…
… ma nonostante siano anni che lavoro e vivo nell’editoria, c’è sempre da pescare qualche mela marcia. E non mi sto riferendo a qualcosa (o qualcuno di preciso), bensì è un “fenomeno” che interessa tutto.
Libri di case editrici mal scritti, self con orrori che nemmeno Lovecraft, inediti che boh, devo ancora capire di cosa parlino…
Insomma, chi dice che “se un libro è scritto male vuol dire che è self” sta sbagliando.
Ahimè, tantissimi autopubblicati hanno numerose lacune di ortografia e struttura, ed è anche uno dei tanti motivi per cui il lettore italiano è prevenuto, ma non è solo questo.
Potrei fare un elenco di libri pubblicati da case editrici i cui errori non si conterebbero nemmeno sulle dita di dieci mani. Di inediti che ricevo in redazione se ne salvano solo due o tre, che hanno una buona presentazione e sono ben scritti.
C’è allora da chiedersene il motivo. Non so però se avrò la risposta.
Autopubblicati e scrittura
L’ho già detto e lo ripeto. Di libri self ben scritti ce ne sono davvero pochi. Tutti gli altri richiederebbero un bel lavoro di editing e di pulizia, se non una completa riscrittura.
Il problema principale è che in Italia la figura del correttore (in senso lato) è ancora poco conosciuta: molti non sanno nemmeno che cosa sia l’editing. Altri ritengono ridicolo spendere soldi per farsi correggere il proprio libro. Altri ancora pensano che il proprio libro non abbia bisogno di correzione (in genere questi ultimi sono quelli più scritti male).
C’è poco da dire, in realtà, e quanto scrivo lo leggerai praticamente ovunque.
L’unico consiglio che mi sento di dare è di rileggere, rileggere, rileggere. Contattare un editor. Un beta reader. E, se si vuole fare economia, cercare quantomeno di rivedere il proprio libro, tenendo in considerazione che tutti sbagliano, anche i grandi scrittori. Insomma, mettersi in gioco e non pensare che quando il libro è finito, non bisogna più rimetterci mano.
Inediti e scrittura
Mi riallaccio a quanto scritto prima: tanti pensano che una volta terminato di scrivere, bon, il libro è pronto. Anche per essere inviato a un editore. Poco importa se ci sono errori, orrori o altro, “io non ci metto più mano perché tanto ci pensa l’editore a correggerlo”.
In realtà un libro scritto male non viene nemmeno letto. Un editore apre il file, vede che è zeppo di errori e lo cestina. Comportamento troppo tranchant? Forse, ma nel novantanove percento dei casi se un libro è scritto male presenta anche numerose altre lacune, di trama, di struttura e così via. Meglio non perderci troppo tempo.
Come scrivevo prima, però, raramente arrivano inediti da pubblicare che siano ben scritti, o quantomeno che prevedono poche correzioni.
Il mio consiglio è un copia e incolla del precedente: editor-rilettura-beta reader. E tanta umiltà.
Case editrici e scrittura
Qui il discorso si fa più ostico e meriterebbe una trattazione a parte.
Perché un editore (serio, eh, non un EAP che anche se scrivi ad minchiam pubblica lo stesso perché l’importante è prendere il dinero) non dovrebbe curare i testi che pubblica?
Attenzione: non sto parlando di due o tre refusi (che li trovi anche in grandi case editrici), ma di veri e propri massacri grammaticali, o peggio.
Non c’è forse qualcuno in redazione preposto a questo scopo? O forse i manoscritti sono tanti che si fatica a starvi dietro? O ancora chissenefrega?
Quale che sia la ragione, non ci sono molte scusanti. Un autore può scrivere male, malissimo, e già ha poche scuse se non corregge, o fa correggere, il suo testo. Un editore che non corregge i testi che pubblica è da evitare come la peste.
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Il problema principale è che manca un buon lavoro di editing, non c'è dubbio... Ma prima di questo problema principale ce n'è un altro molto più principale.
Se un libro è scritto male, al punto da «non farsi leggere», è perché chi lo ha scritto non sa scrivere. Non sapere scrivere non è una colpa, ma dato che significa non conoscere gli strumenti del mestiere che quella persona sta provando a svolgere, è qualcosa di cui deve prendere atto. I refusi e le sviste occasionali, come dici, non fanno... testo, perché attengono alla complessità della scrittura.
Tuttavia, se parliamo di errori e di inesattezze tali da rendere il libro illeggibile, il problema smette di essere la mancanza di editing, e diventa mancanza di scrittura. Voglio dire che anche se il lavoro di editor è tanto necessario quanto sottostimato e misconosciuto, i casi in cui si rende troppo necessario andrebbero letti in un'ottica diversa.
Quando un libro è scritto molto male – sul piano non solo grammaticale, ma anche della coesione stilistica, dell'uso della punteggiatura, dell'efficacia espressiva – l'editor dovrebbe chiedersi: ha senso intervenire su questo materiale? Può darsi che la risposta sia: sì, ma allora alla fine del lavoro bisognerebbe apporre sulla copertina non uno ma due nomi di persona: l'editor e l'autore della stesura originale. Ciò che peraltro avviene spesso, se per esempio l'autore è un nome dello spettacolo o dello sport e si fa affiancare da un giornalista.
La contraddizione di fondo, insita nell'idea stessa di editing, è che quanto più un libro ha bisogno di editing, tanto più quel libro contraddice l'idea di editing. Lavorare su un libro, da editor, dovrebbe significare non molto più che renderlo presentabile (cioè commerciabile), adeguandolo a tutti quegli standard formali che partecipano a renderlo riconoscibile in quanto libro, fruibile.
Le scelte grafiche, in effetti, l'uso della grammatica, la costruzione della lingua possono seguire direzioni tutte loro, ma vanno prima innestate a una tradizione, a una prassi, a un linguaggio riconoscibile, che è quello dell'oggetto-libro, e per questo c'è l'editor. Che dunque io vedo più come un consulente, un accompagnatore, uno sguardo esterno, uno che sa come funzionano certe cose, un lettore appassionato, un aiutante, una levatrice – perché scrivere un libro è un'operazione immensa, faticante, e da soli si rischia di perdere il metro, di smarrirsi anzitempo. L'editor al contrario 'non' è un correttore, 'non' è un ghost writer, 'non' è un insegnante di scrittura, e soprattutto 'non' è quello che ti aiuta a coronare il sogno di pubblicare un libro.
Un libro scritto male, un libro che «non si legge», non è ancora pronto per l'editing.
Sante parole!