
Sì, sull’editing è stato scritto tanto e tanto ancora verrà scritto.
E per fortuna, direi, visto che fino a qualche anno fa in Italia erano in molti a non sapere nemmeno che questo lavoro esisteva.
Dall’altra parte, però, la fioritura di numerosi editor che non hanno le giuste competenze sta minando questa professione, e, altro problema grave, sta causando numerose perplessità su cosa sia davvero l’editing.

Scrivere un dialogo è parte integrante di ogni storia. Può essere scritto bene o male, e purtroppo è una delle cose più difficili, i rischi di finire con qualcosa di mediocre sono tantissimi. Prima ancora, però, di entrare nello stile del dialogo, occorre prendere in considerazione alcune accortezze… grafiche, diciamo. Vediamone tre, le più “importanti”.

Editare (nel senso datogli correntemente da chi fa l’editing di un testo): rivedere, correggere, revisionare, sistemare… Ecco: già da questo verbo (che comunque Treccani definisce come atto di pubblicazione di un libro, dall’inglese to edit) abbiamo capito che dare una definizione di editing è complesso. Zingarelli ci aiuta poco: la seconda accezione di editare è: fare l’editing di un testo. Per fortuna, però, sempre Treccani ci viene in aiuto definendo precisamente che cosa è l’editing. Da qui parto per analizzare in modo più approfondito un lavoro che spesso (troppo) si dà per scontato.

Un bravo scrittore non deve soltanto saper elaborare e costruire una buona storia con una trama solida e dei personaggi accattivanti; deve anche avere uno stile di scrittura il più possibile pulito e fluido. Proprio per questo, occorre evitare alcuni elementi che appesantiscono, come, nel caso dell’articolo di oggi, i pleonasmi o le tautologie.