Self-publishing: una scelta spesso criticata
Questo mio articolo è frutto di una profonda riflessione che porto avanti da qualche anno: precisamente da quando ho iniziato a occuparmi di scrittura a tempo pieno e a interagire con numerosi autori.
Confesso che fino a qualche anno fa non sapevo nemmeno cosa fosse il self-publishing: per me, i libri erano tutti uguali.
Interagendo con tanti autori, recensendo i loro libri e correggendo le loro bozze, ho piano piano ampliato le mie conoscenze sul mondo dell’editoria, e finalmente ho scoperto la distinzione tra self-publishing e editore.
Una distinzione, spesso, solo su carta, in quella riga laddove viene indicata la casa editrice: nessuna, se il libro è auto-pubblicato.
Orbene, se la distinzione è solo su carta e riguarda un particolare, a mio avviso, spesso irrisorio, perché ancora oggi c’è chi parla del self-publishing come scelta di serie B e la casa editrice come il girone principale, quello dei vincenti?
Ho chiesto in giro, e la risposta comune è stata:
perché i libri autopubblicati fanno schifo.
Da autrice autopubblicata e sostenitrice del self-publishing (vedi la mia rubrica), non posso che storcere il naso quando sento amenità del genere.
È il classico “fare di tutta l’erba un fascio”, ossia: se un libro autopubblicato è brutto, scritto male, allora lo saranno per forza di cose tutti.
Va da sé che non è così, e lo testimoniano molti libri self-published che ho letto e recensito e che sono migliori di molti altri editi da case editrici, spesso poveri di contenuto perché basta solo che abbiano un milione di like su Facebook e tanti sostenitori su Wattpad.
Che cosa c’è che non va nel self-publishing italiano perché ancora oggi, nel 2017, sia criticato così aspramente?
Oggi ho trovato quattro miti sul self-publishing che vorrei sfatare e che vi elencherò.
Attenzione! Questo articolo è di parte, quindi se siete ferventi sostenitori della crociata contro l’autopubblicazione, leggetelo a vostro rischio 😉
Mito numero 1: tutti i libri autopubblicati fanno schifo
L’ho scritto prima e lo ripeto: non bisogna fare di tutta l’erba un fascio.
Quindi, se abbiamo letto uno, due, tre libri self-publishing brutti, scritti male e poveri di contenuto, non è detto che anche gli altri siano così.
Purtroppo, uno dei difetti dell’autopubblicazione è che tutti, ma proprio tutti, possono buttare qualcosa su carta, caricarlo su una piattaforma self-publishing e vendere.
Come sostengo da mesi, il self-publishing deve essere una scelta consapevole, un investimento nella propria carriera di autore che vieta di “dimenticarsi” alcuni passaggi, come l’editing o una bella grafica.
Nonostante questo, c’è sempre qualche furbetto che “bypassa” alcune fasi e pubblica oscenità, ma ripeto, da esperienza personale, ho letto davvero tanti libri autopubblicati che meritano.
Al contrario, ho letto anche tanti libri pubblicati da case editrici che lasciavano a desiderare, non tanto per i contenuti, che quello è un aspetto soggettivo, quanto per com’erano scritti.
Perché un autore pubblicato da una CE il cui libro fa pietà va bene e uno autopubblicato il cui libro è bello no?
Diamo una possibilità agli autori autopubblicati, perché non sempre i loro libri fanno schifo.
Mito numero 2: gli autori autopubblicati sono dei poveracci
E un autore pubblicato da una CE medio-piccola, cosa credete che guadagni?
In genere le percentuali delle case editrici sono piccole e, a meno che non siamo famosissimi, è dura arricchirsi, anche se il nostro libro è sotto contratto con qualche editore.
Certo, nemmeno autopubblicandosi si può sperare di guadagnare cifre astronomiche, soprattutto nei primi mesi, ma che differenza c’è tra un autore autopubblicato e uno sotto contratto con una casa editrice, in termini di soldi?
Ripeto, a meno che non siamo famosissimi a livello nazionale o addirittura mondiale, i nostri guadagni, almeno all’inizio, saranno bassini.
Ed è normale, non spaventiamoci!
Ogni libro, all’inizio, deve ingranare la marcia, sia autopubblicata sia edito da una casa editrice.
Mito numero 3: il self-publishing non vende perché si fa poca pubblicità
Detta in altre parole: se ti affidi a una casa editrice, venderai di più perché questa ha più “forza” nel promuoverti.
È vero, ma non del tutto.
Pensiamo alle case editrici medio-piccole, o peggio, agli editori a pagamento: raramente investiranno in una pubblicità massiva, e non perché non vogliano farlo (l’EAP sì, ma è un altro discorso), ma perché, spesso, non ne hanno nemmeno i mezzi.
Quindi perché affidare un libro a una CE se poi dovrò promuovermelo da solo e magari prenderò una percentuale irrisoria nei guadagni (se me la daranno)?
Non è meglio autopubblicarsi, tanto, in ogni caso, dovremo fare tutto da soli?
La promozione è la bestia grama del self-publishing, quello sì. Spaventa gli autori, me compresa.
Ma una casa editrice che non promuove i suoi libri, non è la faccia della stessa medaglia?
In ogni caso, dovremo fare tutto noi.
Mito numero 4: il self-publishing è l’ultima spiaggia
Parole che ho sentito dire più e più volte.
L’ultima spiaggia.
La scelta peggiore, quella che ti tocca fare perché nessuno ti vuole, nessuno ha capito le tue potenzialità e l’altra alternativa è sganciare 2000 euro (quando va bene) a un editore a pagamento.
Io conosco tanti autori che fanno del self-publishing la PRIMA scelta.
Io stessa mi autopubblico senza vergognarmene.
È un problema, questo?
Direi di no, anzi: la scelta è soggettiva, e ben venga se un autore ha deciso di autopubblicarsi e fare tutto da solo.
In America è pieno di scrittori autopubblicati (ricordiamo Glen Cooper?), i quali di certo non lo hanno fatto perché non sapevano più quali pesci pigliare.
Quindi no: l’autopubblicazione non è l’ultima spiaggia ma una scelta soggettiva e (si spera) consapevole.
Conclusioni: self-publishing, sì o no?
Se hai letto attentamente questo articolo, la risposta non può che essere sì.
Il self-publishing non è la gamba atrofizzata dell’editoria né l’ultimo baluardo dell’autore per, finalmente, pubblicare il suo libro.
Ormai, il self-publishing è parte dell’editoria, che piaccia o meno.
Certo, ci saranno sempre libri autopubblicati con i piedi, da gente che forse era meglio senza andava al bar, ma, dall’altra parte, ci saranno sempre libri pubblicati da CE dal retrogusto molto promozionale e che, anche in questo caso, era meglio se l’autore andava al bar.
Torniamo indietro, e cancelliamo qualsiasi distinzione.
Esiste l’editoria, esistono i libri. Punto.
Non focalizziamoci su chi li ha pubblicati (o no).
È semplice, a ben pensarci.
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Questa frase "ci saranno sempre libri autopubblicati con i piedi, da gente che forse era meglio che, invece di scrivere, fosse andata al bar" è valida anche per tante case editrici, specialmente per quelle a pagamento.