
Su noi editor se ne sentono tante e prima o poi mi verrà voglia di scrivere un libro. Dicono che rendiamo i libri tutti uguali, oppure che vogliamo imporre il nostro stile, o ancora che ci sostituiamo all’autore… Be’, l’elenco sarebbe lungo. Dappertutto, quindi, è estesa l’idea che l’editor non sia soltanto egoista ecc. ecc., ma anche e soprattutto str***o. Più che str***o! Str***issimo!

Editare (nel senso datogli correntemente da chi fa l’editing di un testo): rivedere, correggere, revisionare, sistemare… Ecco: già da questo verbo (che comunque Treccani definisce come atto di pubblicazione di un libro, dall’inglese to edit) abbiamo capito che dare una definizione di editing è complesso. Zingarelli ci aiuta poco: la seconda accezione di editare è: fare l’editing di un testo. Per fortuna, però, sempre Treccani ci viene in aiuto definendo precisamente che cosa è l’editing. Da qui parto per analizzare in modo più approfondito un lavoro che spesso (troppo) si dà per scontato.

In effetti, può sembrare strano. Un editor che si rilegge?! Ma come, è così perfetto!
Questa è una delle opinioni molto diffuse: l’editor è infallibile. Va a braccetto con l’altra opinione, ossia la diffidenza nei confronti di chi prende il tuo libro e lo stravolge. Ma questa è un’altra storia. Ritornando all’argomento dell’articolo, l’editor deve rileggersi, per forza. Oggi vediamo perché.

Gli editor sono un elemento imprescindibile della creazione di un libro, si sa. Formarsi come professionista non è semplice e bisogna tenere a mente che l’editor è sempre in formazione, perché c’è sempre da imparare. Per prima cosa, però, è fondamentale tenere presente cinque qualità che non devono mancare, quale che sia il percorso di studio o lavoro.