editing libro come si fa

Sì, sull’editing è stato scritto tanto e tanto ancora verrà scritto.

E per fortuna, direi, visto che fino a qualche anno fa in Italia erano in molti a non sapere nemmeno che questo lavoro esisteva.

Dall’altra parte, però, la fioritura di numerosi editor che non hanno le giuste competenze sta minando questa professione, e, altro problema grave, sta causando numerose perplessità su cosa sia davvero l’editing.


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Come, non cosa

Siccome, appunto, di articoli sull’editing ne escono tanti, invece di capire cosa è, cerchiamo di capire come viene fatto. E soprattutto, di distinguere l’editing fatto bene da quello fatto “a babbo”: ossia male, velocemente, con disattenzione (tre parole che un editor dovrebbe epurare dal suo vocabolario).

Un lavoro di editing veloce, infatti, contiene già in sé un paradosso: “editare” un testo spesso richiede tempo, puntigliosità e meticolosità, e mal si accorda con l’aggettivo veloce. Certo, talvolta, soprattutto chi chiede poco va veloce per “fare numero” e a fine mese ha un buon fisso, ma siamo sicuri che lavorando così facciamo il nostro bene (e il bene dell’autore e il bene del libro)?

Direi di no.

Stessa cosa per un lavoro di editing svolto con disattenzione: come la scrittura, l’editing disattento e magari non riletto provoca qualche problema, e ovviamente mina la credibilità del professionista. Se mi ritrovo un testo corretto male, sebbene ad esempio abbia pagato poco, col piffero che il prossimo testo lo faccio correggere a questa persona X. Pago di più e mi cerco un professionista serio (enfasi poiché si dà il caso che un professionista dovrebbe, dovrebbe dico, essere serio).

Ma come distinguere un buon lavoro di editing da uno cattivo, assodato che quest’ultimo è fatto male, veloce e con disattenzione?

Refusi: sì, ma…

Innanzitutto, molti diranno: un lavoro di editing fatto male presenta moltissimi refusi. Sì, ma anche no. Purtroppo, il refuso è quasi sistemico, direi, nel senso che è ormai più frequente trovare un testo (di grandi case editrici, di case editrici medio-piccole, di scrittori self in gamba e di scrittori self casalinghi e caserecci) con tre e più refusi che un testo senza. Anzi: un testo senza refusi è una rarità.

Proprio per questo il refuso difficilmente è un indicatore di cattivo editing, anche se gioca un ruolo ancora importante (se leggo un testo con venti refusi immagino che l’editor e il correttore di bozze siano stati disattenti).

Altri indicatori, magari per alcuni quisquilie, fanno capire se l’editing è stato fatto bene oppure no.

Attenzione: mi riferisco a lavori di editing che comprendono anche grammatica, sintassi ecc., sebbene una scuola di pensiero contesti che l’editing lavori anche su questo.

Stile “moscio”, frasi ridondanti, ripetizioni et simili

Capiamo subito se c’è stato “poco” editing dallo stile e dalla scrittura.

Lo stile. Tanti scrittori sono reticenti a contattare un editor proprio perché temono che omogenei il suo stile al mercato (un po’ come la standardizzazione di un certo tipo di prodotti), e spesso è quello che capita con i testi di grandi scrittori, bestseller direi, il cui stile, se ci fai caso, sembra avere lo stampino. Lavorare sullo stile è però importante perché permette una lettura più agevole, più scorrevole.

Quindi occorre lavorare sull’incisività di certe frasi (magari inizi e fine di capitoli, con un dovuto aggancio per far rimanere il lettore “nella storia”), ripulire il testo da ripetizioni, ridondanze, cliché e paragoni già sentiti – e non per uniformare lo stile ma per far emergere la voce dello scrittore.

Non solo. Bisogna anche considerare il lessico, che in molti purtroppo tralasciano, valutare parola per parola se quanto si scrive è adeguato al contesto, al personaggio, all’ambiente (e quindi posso dire cazzo, perdona la volgarità, in un testo del 1200? Apparentemente no, perché il De Mauro attesta la parola al 1310. E nemmeno posso usare gli euro in Italia nel 1999).

Per non parlare di prolissità, arrampicate sugli specchi e affini, che affaticano la lettura.

Un lavoro di editing deve considerare anche questo, e se un testo presenta lacune sotto questo punto di vista, le antenne iniziano a drizzarsi. Piano piano.

Punteggiatura, ahi ahi

Checché ne dicano, anche l’editor deve valutare e sistemare la punteggiatura. Soprattutto per se stesso. Anni fa mi capitò un testo abbastanza scorrevole… a patto di togliere ogni virgola e inserirle una per una da zero. Sennò, era illeggibile, anche per me, e non avrei nemmeno potuto cominciare a lavorarci.

Per non parlare della punteggiatura dei dialoghi. Ecco: questo è l’elemento che più di tutti fa capire se l’editor è stato pignolo o se, come si usa, “ci ha dato là”, ossia ci è passato sopra senza farci granché caso.

Io, nella mia piccola esperienza, capisco se il testo è stato editato male anche e soprattutto dalla punteggiatura dei dialoghi. Sarà che su questo aspetto sono fiscalissima (e chi lavora con me lo sa), ma mi accorgo subito se prima la virgola era fuori dalla virgoletta e adesso è dentro. Non voglio vantarmi, ci mancherebbe, ognuno ha le proprie fisime (ci sono ad esempio colleghe che dal primo paragrafo si accorgono se il testo è stato scritto con distrazioni o senza!).

Certo, molti di voi sbufferanno pensando che l’importante è che il testo si legga, queste sono sciocchezze.

No, perché un buon lavoro di editing (unito a un altrettanto buon lavoro di correzione di bozze) è anche e soprattutto (lo sto ripetendo un sacco, perdonami!) questo.

Ma anche…

Incoerenze

Il vero lavoro di un editor, dicono quelli della scuola di cui sopra. Una parte fondamentale, mi accodo io.

Aneddoto. Tempo fa ho letto un libro, pubblicato da una casa editrice (precisazione per chiunque ritenga che i libri scritti male siano solo self), davvero bello e che mi ha presa fino all’ultima pagina. Peccato che proprio all’inizio ci fosse un’incoerenza grande come un grattacielo che, per carità, non inficiava la storia, però mi ha fatto capire che l’editor era stato… disattentino direi: a pagina 20, diciamo (non ricordo di preciso), era morta la sorella del protagonista. Qualche pagina dopo (non cento!) a essere morta era la moglie.

Non penso serva fare altri esempi.

In conclusione, tu, autore, se ricevi un testo che manca di queste “sottigliezze” (neanche tanto), fossi in te mi farei qualche domanda. E pure se leggi un testo con gli stessi problemi pubblicato da un editore a cui volevi mandare il tuo manoscritto. Sicuramente saranno bravi in altre cose, ma con l’editing c’è ancora molto da lavorare.