È da un po’ che mi sto ponendo questa domanda: l’editing si può insegnare?

Vedendo i numerosi corsi che spuntano come funghi (soprattutto da quanto l’Italia ha cominciato a entrare e uscire dai vari lockdown) sembrerebbe di sì.

Ma in che modo?

teach dice ornament on table
Photo by Pixabay on Pexels.com

Imparare studiando o imparare facendo?

Ho avuto esperienza con entrambi i metodi e personalmente so qual è il migliore, almeno per me.

Agli esordi del mio percorso in editoria sono stata affiancata sia da chi mi spiegava cosa fare e come, sia da chi mi diceva “fallo”. Addirittura, una delle mie primissime esperienze di editing è stata learning by doing: mi hanno piazzato un testo davanti e mi hanno detto: “Correggilo”.

Come in tutte le discipline, è fondamentale conoscere le basi teoriche, ma soprattutto lavorare, lavorare, lavorare. È un po’ come guidare una macchina: la teoria serve, certo (anche perché se non conosci il codice della strada…), ma solo una buona pratica ti aiuterà a mantenere l’auto in strada.

Per l’editing può essere la stessa cosa: la teoria serve, ma la pratica è fondamentale.

Occorre quindi imparare studiando E facendo.

E qui veniamo al nostro nocciolo: se l’editing si può insegnare (perché si può e lo si insegna), qual è il metodo giusto?

Ci sono metodi e metodi

Come per qualsiasi disciplina pratica (e direi che l’editing è molto pratico), ogni insegnante ha il proprio metodo di insegnamento.

Purtroppo però spesso ho notato che la tendenza è a fornire un apparato teorico zeppo di nozioni (forse per dar sfoggio delle proprie conoscenze?) e tralasciare l’aspetto pratico. Ancora più spesso ho notato un approccio unidirezionale: l’insegnante verso l’alunno, e non viceversa. Il primo dà sì esercizi al secondo, ma non dà alcun feedback.

Ecco, soffermiamoci un momento sulla nozione di feedback.

Per ogni disciplina pratica è l’elemento chiave.

Posso svolgere qualsiasi tipo di esercizio, ma se il docente non mi dà un riscontro, non mi dice se sto facendo bene o male, come posso apprendere la pratica?

Questo succede anche con la traduzione: spesso i compiti consegnati dagli apprendisti traduttori non vengono corretti, o ne vengono corretti due-tre a campione, e una delle tante motivazioni addotte è che “non c’è una traduzione corretta perché ognuno interpreta il testo secondo il proprio orientamento”.

Questo è vero, ma solo in parte, perché io posso interpretare un testo sulla base di quello che sento e di quello che ipotizzo l’autore abbia voluto dire e in che modo, a chi e in quale contesto, ma posso comunque sbagliare traducente, o peggio eseguire un’interlineare che traduzione non è.

Possiamo “traslare” tutto ciò nell’editing. È vero che ogni editor corregge il testo secondo la sua interpretazione (ossia secondo quanto, in base a nozioni ed esperienza, ritiene giusto o migliorabile), e se mandi un testo a dieci editor stai certo che tutti e dieci te lo restituiranno con correzioni diverse, ma cosa succede se l’aspirante editor non vede certe cose, non sente certe cose e sbaglia interpretazione?

È compito del docente, tramite continui feedback, instradare l’aspirante editor così che, una volta pronto a lavorare autonomamente, non cada in errori grossolani, sia troppo superficiale o, al contrario, troppo invasivo.

La teoria serve, la pratica anche, ma pure (e soprattutto) una relazione bidirezionale insegnante-discente.

È su queste basi che ho cercato di costruire un corso sull’editing che sia soprattutto un dialogo fra editor e aspirante editor, e che sto finalizzando in questi giorni. Se anche tu vuoi approcciarti in modo pratico a questa professione, compila il form qui sotto per essere tra i primi a ricevere notizie su quando il corso/laboratorio verrà attivato! Inoltre, riceverai un omaggio su come muoverti nel mondo dell’autopubblicazione.

Iscrivendoti alla newsletter acconsenti al trattamento dei dati personali trasmessi ai sensi degli art. 13-14 del GDPR. Informativa ex art.10 legge n. 196/2003. Per ulteriori informazioni, clicca qui