Divertente, per l’editor, è scartabellare il dizionario alla ricerca di parole nuove (o vecchie ma rispolverate).

C’è sempre qualcosa da scoprire!

Purtroppo, e questo capita con autori (credo) troppo sicuri di se stessi, a volte queste belle parole sono del tutto fuori contesto.


Ricercato? Sì!

Usare un linguaggio più ricercato è qualcosa che mi piace, sia come editor sia come lettrice (come persona che scrive, invece, ammetto di essere molto terra-terra).

Spesso ci si perde in circonlocuzioni per spiegare qualcosa, quando invece il nostro dizionario ha la parola precisa; e che importa se è troppo letteraria, è la sola parola che possa servire in quel contesto.

Ad esempio, a me piace molto il verbo poetico verzicare (ossia verdeggiare, o cominciare a verdeggiare): sebbene non lo usi, lo trovo molto d’impatto. Altra parola è terebrante, il cui uso è davvero ristretto ad alcuni casi, ma che funziona per un dolore terebrante (un dolore trafiggente, che perfora).

Purtroppo, tutte queste parole hanno una frequenza d’uso davvero bassa nella scrittura odierna (c’è chi dice che lo stile degli scrittori si è ormai uniformato alle regole del mercato editoriale, e spesso è vero), e quando vengono impiegate più di una persona storce il naso, oppure cerca sul dizionario il suo significato.

Usare un linguaggio più letterario è però un esercizio interessante e coinvolgente, e anche se le parole sono desuete o troppo poetiche, questo non inficia la lettura – a meno che non prendiamo a scrivere come i nostri scrittori del Cinquecento, perché in quel caso non è ricercato ma arcaico, e spesso fuori contesto.

Diverso paio di maniche quando al ricercato si unisce il tecnico.

Tecnicismi? Però…

Alcune parole sono tecnicismi, ossia, secondo Treccani “[t]ermine tecnico o locuzione tecnica, strettamente connessi ai fattori concettuali e pratici d’una data disciplina o attività […], in linguistica, termine o locuzione che indica concetti, nozioni e strumenti proprî di un determinato ambito settoriale…”.

Usare uno o più tecnicismi in letteratura non è un errore: è meglio specificare anziché generalizzare, e se il nostro testo ha necessità di spiegare un concetto tecnico, oppure vi sono dialoghi più tecnici, è sempre bene inserire un termine adeguato (al contesto, al registro…).

Spesso, però, i tecnicismi vengono impiegati alla stregua di meri sinonimi, e quindi mingere, ad esempio, è un termine che attiene esclusivamente al linguaggio medico e raramente viene impiegato come sinonimo di orinare o, più terra-terra, andare in bagno, fare pipì.

Spesso prendere in prestito un termine dai linguaggi settoriali viene visto come dar sfoggio delle proprie conoscenze (una sorta di “sazio il mio ego con…”); in realtà questi termini vengono definiti tecnici proprio per un motivo: sono impiegati esclusivamente in un certo settore.

Neologismi itanglesi

Non potevo, anche in questo caso, tralasciare il mio amato (si fa per dire) itanglese.

I neologismi sono parole ormai entrate a far parte del nostro dizionario, e tra i vari tipi di neologismo abbiamo anche tutte quelle parole, molto recenti, che provengono dall’inglese. Quindi si usa ormai scrivere selfie, googlare, spammare, svapare, scrollare (nel senso di far scorrere il dito sullo schermo del cellulare o del tablet, da to scroll), fotoscioppare (o photoshoppare), friendzonare (?!)…

Ora, io sono aperta a tutto e sono convinta che ogni lingua debba evolversi sempre e comunque, ma se segui il mio blog sai che sono molto reticente a utilizzare parole derivanti e derivate dall’inglese quando è presente la stessa parola, o la stessa locuzione, anche in italiano. Certo, nessuno direbbe calcolatore al posto di computer, ma perché parlare di food delivery quando esiste la consegna a domicilio?

In questo caso sono sempre molto attenta all’utilizzo di neologismi e parole o locuzioni itanglesi in un qualsiasi testo, che sia mio o di altri, e lo ammetto: tendo sempre a rimuovere, o a consigliare di farlo, tutte quelle parole, o locuzioni, di cui esiste il corrispondente italiano. So di essere troppo severa, forse, ma se un libro è scritto in italiano, che sia tale. Sennò che venga scritto in inglese, francese, o altro.

Arcaismi, tecnicismi, neologismi itanglesi… ti capita di usarne? Ne hai scoperto qualcuno in qualche libro?

Scrivimelo nei commenti!