Attenzione al punto di vista!

È uno degli elementi fondamentali di ogni storia.

In un certo senso, è la bussola di ogni lettore, che lo guiderà nel corso delle pagine.

In un altro, sono gli occhiali grazie ai quali il lettore osserverà ogni scena.

In termini più semplici è il punto di vista.

Vedo, quindi so

Non è scopo di questo articolo raccontarti cos’è il punto di vista, anche perché se scrivi dovresti saperlo già.

In ogni caso almeno un ripasso super veloce è meglio farlo.

Senza perdere la testa in tecnicismi, in scrittura possiamo usare l’io narrante, ossia è il protagonista che parla attraverso la sua voce, e vede solo quello che può vedere; oppure usare un punto di vista in terza persona, che può essere interno, e cioè collegato al personaggio, o esterno, dove la voce narrante si limita a riportare i fatti senza saperne di più dei personaggi. Inoltre esiste anche la seconda persona, meno usata ma suggestiva, e il narratore onnisciente, su cui vorrei soffermarmi oggi.

Infatti, se per l’io narrante non ci sono grandi problemi, e neppure per la seconda persona, una buona maggioranza di scrittori tende a confondere onnisciente con un uso improprio del punto di vista che in inglese si chiama head hopping.

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Un minestrone senza sapore

Ogni punto di vista presenta vari problemi.

In prima e seconda persona, ad esempio, corri il rischio di rivelare cose che il personaggio non sa, anche se nella seconda persona c’è più flessibilità perché si tende a dare al narratore una sorta di onniscienza.

Sono comunque facilmente risolvibili cambiando qualche frase.

Quando, invece, si tende a confondere più punti di vista in un capitolo, o addirittura in un paragrafo, la situazione si fa delicata.

Un breve esempio per capire meglio.

Margherita alzò la cornetta, ma dall’altro capo del telefono nessuno parlò. Poi sentì qualcuno che si schiariva la voce.

“Chi c’è?” sussurrò Margherita.

“Non ti ricordi di me, ma io ti conosco benissimo” disse la voce dall’altra parte.

“Ma chi sei?”

“Per ora nessuno, ma presto ti ricorderai di me.”

La persona dall’altro capo del telefono chiuse la telefonata con un colpo secco. Si sfregò le mani e sorrise. Sì, finalmente Margherita avrebbe conosciuto Violetta.

In quel momento Romeo entrò nella stanza, e si stupì nel vedere Margherita con la cornetta in mano e lo sguardo fisso di fronte a sé.

Che diamine c’era, di nuovo?

In questo testo ci sono ben tre punti di vista: Margherita, Violetta e Romeo.

Di testi simili ne leggo uno alla settimana, e sai cosa li accomuna? Il fatto che l’autore ogni volta mi dice che ha usato un narratore onnisciente.

Il narratore onnisciente, ricordiamolo, ne sa più dei personaggi, entra spesso nella narrazione e “cala” dall’alto la storia, senza entrare in maniera particolare nella testa dei personaggi. È una sorta di visuale d’insieme volta a far emergere ogni personaggio e magari anche una morale.

Il narratore onnisciente non vuol dire saltare da un punto di vista all’altro così, quando capita, ma è un unico punto di vista, globale.

Non ci ho capito nulla!

Prendiamo l’esempio precedente.

La scena inizia con Margherita che alza la cornetta, e dopo poco una voce sembra minacciarla. La continuazione più logica sarebbe proseguire la storia con la narrazione di come agisce Margherita dopo la chiamata, il suo stato d’animo… Invece saltiamo dall’altra parte della cornetta e conosciamo questa Violetta misteriosa, di cui sappiamo solo che in un certo senso vuole vendicarsi. Poi passiamo a Romeo, che entra nella stanza (e qui subito non si capisce di quale stanza si parli!) e si stupisce perché Margherita ha lo sguardo perso nel nulla. Addirittura fa intuire che tra loro c’è maretta perché si chiede “che diamine c’è di nuovo”.

E adesso mettiamoci nei panni del lettore.

Segue la scena di Margherita, poi salta su Violetta e poi ancora su Romeo. I suoi occhi dovrebbero seguire un percorso a zigzag per star dietro a questa confusione, e ne uscirà con un mal di testa atroce.

Pensa se tutto il romanzo fosse così!

Il problema di questa confusione dei punti di vista a mio avviso sta tutto nell’incertezza.

L’autore ha paura che il lettore capisca poco, così deve per forza inserire un pensiero per ogni personaggio.

E questo porta a due (pessimi) risultati.

Il primo è che, come scrivevo prima, il lettore non solo non capisce, ma è così confuso da stufarsi.

Il secondo, ben più grave, è che a voler a tutti i costi mostrare aspetti dei personaggi, anche tutti insieme, si rischia di rivelare troppo, facendo perdere pathos alla storia.

Pensa se nell’esempio precedente non avessi scritto che Violetta voleva far sapere a Margherita chi fosse: avremmo avuto il dubbio si chi l’avesse chiamata, e saremmo rimasti in sospeso sino alla rivelazione, invece che saperlo subito.

E quindi?

La prima cosa da fare per risolvere questo problema è capire, ancora prima di scrivere, che punto di vista adottare.

Poniamo il caso di aver scelto un narratore interno alla terza persona.

Per evitare punti di vista confusi, soprattutto se è un nostro punto debole, sarebbe meglio avere una lista delle varie scene, e per ognuna decidere da che punto osservarla.

Questo purtroppo non è facile, soprattutto se il modo di scrivere è quello di dire tutto di tutti in contemporanea.

Occorre allora operare una massiccia pulizia in fase di editing, eliminando i passaggi incriminati (esempio: se la scena è vista dagli occhi di Giulietta, eliminare tutti gli accenni agli stati d’animo o pensieri di Romeo), a volte anche con tagli massicci, ma doverosi.

È un lavoro lungo, ma una volta presa dimestichezza verrà da solo usare il corretto punto di vista ed evitare minestroni insipidi 🙂

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