Aggettivi e avverbi: sì o no? Una riflessione

Su avverbi e aggettivi ne sentiamo di tutti i colori.

Addirittura c’è chi compie delle vere e proprie crociate per sterminarli.

Altri non ne potrebbero fare a meno.

Sì o no, quindi? Sono troppo pesanti? Servono? Inutili?

Ecco una mia riflessione a proposito.


Aggettivi e avverbi

Nell’ormai classico “On writing”, Stephen King afferma più volte di disprezzare gli avverbi, anche se ammette di farne talvolta uso (o abuso, secondo lui).

Discorso simile può essere fatto per gli aggettivi: in alcuni corsi di scrittura insegnano a evitarli peggio che la peste, perché sinonimo di una scrittura raccontata anziché mostrata.

In effetti, il comune sentore è che un largo uso di aggettivi e avverbi sia sinonimo di una scrittura sciatta e svogliata, dettata anche da una scarsa fantasia da parte dell’autore, che invece di impegnarsi a mostrare perché Mario è arrabbiato, si limita a scrivere “parlò rabbiosamente”, o “Mario è arrabbiato”.

Ma come sempre io devo cercare il pelo nell’uomo, e ogni tanto dire qualcosa di diverso dalla massa; così oggi mi sono presa qualche minuto per riflettere sull’effettiva importanza di aggettivi e avverbi.

A ben pensarci, talvolta servono. Da qui non scappiamo. E se fanno della scrittura qualcosa di troppo raccontato e non mostrato, questo non è per forza di cose un male.

Vediamo il perché.

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Un esempio di raccontato… azzeccato

Amante del romanzo gotico e dell’orrore, non potevo non leggere Lovecraft, e ti dirò di più: è ormai, da anni, sul podio dei miei autori preferiti.

Lovecraft scriveva quando ancora la scrittura era più di stampo raccontato che mostrato, prediligendo talvolta tortuosi salamelecchi e descrizioni arzigogolate a una scena secca e pulita. Se dovesse scrivere ai nostri tempi, dove la velocità comanda e il mostrato “vende” meglio, non so come farebbe; magari ci proverebbe, magari si dedicherebbe all’orto, chissà.

La questione importante è che se i racconti di Lovecraft fossero stati scritti con una tecnica più mostrata, non avrebbero a mio avviso avuto l’impatto… be’, che hanno avuto.

Ma prendiamo un esempio. È tratto dal racconto “L’estraneo”, per me uno dei più belli di Lovecraft.

Non so dove sono nato: so soltanto che il castello era infinitamente antico e infinitamente orribile, pieno di corridoi oscuri e di alti soffitti ove l’occhio null’altro incontrava che ombre e ragnatele. Le pietre dei corridoi in sfacelo parevano sempre odiosamente viscide, e ovunque stagnava un lezzo spregevole, come di cadaveri ammucchiati nell’avvicendarsi delle morte generazioni.

Adesso armiamoci di penna rossa e togliamo, in modo indiscriminato, ogni avverbio e aggettivo.

Non so dove sono nato: so soltanto che il castello era antico e orribile, pieno di corridoi e di soffitti ove l’occhio null’altro incontrava che ombre e ragnatele. Le pietre dei corridoi parevano sempre viscide, e ovunque stagnava un lezzo , come di cadaveri ammucchiati nell’avvicendarsi delle generazioni.

Tutto un altro effetto, vero?

Non so te, ma ogni avverbio e ogni aggettivo tolti sviliscono il testo, anziché renderlo più fluido. Be’, scorrevole lo sarà sicuramente di più, ma a me quell’avverbio ripetuto, infinitamente, mi dà proprio l’idea di qualcosa di antico e orribile all’esasperazione; quelle pietre non sono viscide ma sono odiosamente viscide, quindi che provocano ancora più repulsione; il lezzo non è solo una puzza, ma è anche spregevole, come se avesse vita propria; i corridoi sono oscuri e in sfacelo, e i soffitti alti… in questi ultimi tre esempi gli aggettivi sono necessari: un corridoio oscuro e in sfacelo non è la stessa cosa di un corridoio ben tenuto, e un soffitto alto non è la stessa cosa di uno basso.

In questo passaggio, eliminare arbitrariamente avverbi e aggettivi ridurrebbe l’impatto che l’autore ha voluto dare al castello: qualcosa di repellente, antico e malsano.

Altro esempio, sempre dal medesimo racconto. È l’incipit.

Infelice chi dell’infanzia ha soltanto memorie di paura e tristezza. Sventurato chi, volgendosi indietro, non vede che ore solitarie trascorse in sale vaste e malinconiche, tappezzate di lugubri tendaggi e file esasperanti di libri antichi, o in desolate veglie in boschi crepuscolari fitti di immensi alberi grotteschi coperti da erbe, che agitano silenziosi in alto i rami contorti.

Anche in questo caso, prova a eliminare i numerosi aggettivi: la lettura è più veloce, ma perde quel pathos e quell’ambientazione lugubre e sulle soglie dell’abisso tipica di ogni storia di Lovecraft.

Le sale sono vaste e malinconiche, i tendaggi lugubri, i libri antichi e disposti in file esasperanti… e i boschi sono crepuscolari con alberi fitti, immensi e grotteschi, i cui rami contorti si agitano silenziosi in alto.

Queste descrizioni esprimono tutta l’angoscia che prova l’io narrante, e forse anche l’autore, e riescono a trasmetterla anche al lettore.

Ancora una volta, la scena sarebbe diversa se togliessimo gli aggettivi, diventerebbe come… sterile.

Foto di 5598375 da Pixabay

Saper dosare

Ho davvero usato un esempio minimo e magari anche banale, ma mi è servito per farti capire come talvolta un uso vasto di aggettivi e avverbi non danneggia la tua scrittura; anzi, la migliora.

Bisogna, comunque, saper dosare: ogni aggettivo e avverbio deve servire a uno scopo, come succede nei racconti di Lovecraft, e non messo lì tanto per allungare la frase… o davvero perché sei uno scrittore svogliato.

Non penso Lovecraft lo fosse; anzi, proprio no, ma deve aver ritenuto che le descrizioni ricche di aggettivi e avverbi fossero le sole calzanti per la sua scrittura. E in effetti se riscrivessimo i passaggi di poco sopra con un maggiore mostrato rischieremmo di stravolgerne il significato.

L’uso di aggettivi e avverbi dipende anche tanto dal tipo di scrittura, di storia e dalla narrazione.

Se ad esempio stai scrivendo un romanzo avventuroso, pieno di scene d’azione, è meglio un mostrato perché aggettivi e avverbi rallenterebbero la scrittura.

Se ti stai cimentando in un fantasy, un uso più frequente di aggettivi e avverbi potrebbe aiutarti nella descrizione dei tuoi luoghi immaginati.

Per spezzare comunque una lancia a favore dei crociati contro aggettivi e avverbi, posso dirti che no, non metterli nei dialoghi (disse amaramente, urlò furioso, sussurrò affranto, chiese apertamente): qui davvero danno fastidio e indicano una scrittura sciatta e pigra.

In tutti gli altri casi, se ritieni che un avverbio o un aggettivo sia quello giusto e che in altre maniere non potresti esprimere quello che hai dentro… ebbene, mettilo.

Meglio un periodo ricco di avverbi che lo ingentiliscono che qualcosa di contorto che non sei riuscito a spiegare bene perché volevi a tutti i costi evitarli.

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