Spesso ci lasciamo trasportare dalla pigrizia e preferiamo appoggiarci a concetti semplici e veloci, senza star troppo a spremerci.

Non è un male, bada bene, ma se fatto spesso impoverisce la tua scrittura.

Come nel caso degli aggettivi “deboli”.


Foto di JL G da Pixabay

Mostra, non raccontare!

In questo caso sarebbe meglio scrivere: mostra, non usare troppi aggettivi.

Sì, perché se da un lato un aggettivo sembra arricchire la tua scrittura, dall’altro la impoverisce.

Suona strano, vero?

Meglio che mi spieghi con qualche esempio.

Margherita aveva notato quella strana e bellissima ragazza, per lei e per gli altri, già altre volte sulla metro. Non sapeva perché, ma catturava la sua attenzione. Forse per via del bizzarro abbigliamento, o forse era l’aria spersa che si trascinava dietro. Fatto sta che un giorno decise di avvicinarla. Così, senza nemmeno pensarci prima. Ma ne era davvero incuriosita, anche se un poco timorosa. Sì, quella ragazza stramba la spaventava anche.

Di per sé, noterai anche tu, questo testo non ha nulla che non vada.

A una lettura più attenta, però, potresti già cogliere dei problemi.

Un altro esempio per farti capire meglio.

Quella casa era davvero splendida! Romeo non ne aveva mai visto una simile, così bella e ordinata e pulita. Si guardava intorno, meravigliato, e l’avrebbe voluta anche lui una così. Fiorella lo fece accomodare in una cucina ampia e maestosa, e gli offrì una fetta di dolce prelibato.

Anche qui non c’è nulla di strano…

… solo in apparenza.

Il vero problema di questi due esempi è che entrambi sono raccontati.

Non trasmettono nulla, non lasciano nel lettore alcuna immagine, alcun profumo.

Sono testi scritti con pigrizia, e proprio per questo poco accattivanti.

Sarebbe stato meglio mostrare anziché adagiarsi su aggettivi usati e strausati, e sono certa che avrebbero dato tutt’altra impressione.

Aggettivi deboli, scrittura opaca

Prendiamo alcuni aggettivi scritti qui sopra.

Una strana e bellissima ragazza, con un bizzarro abbigliamento.

Una casa splendida, una cucina maestosa, un dolce prelibato.

A rifletterci bene, sono tutte descrizioni che nella nostra mente non rimandano nulla.

Una ragazza strana e bellissima? Ma strana perché? E bella secondo chi? E perché questa persona la ritiene bella? E cos’ha di bizzarro il suo abbigliamento?

E la casa: è splendida, okay, ma come? Cosa la rende splendida rispetto ad altre, o semplicemente rispetto al punto di vista di Romeo? E la cucina maestosa? Per quale motivo? E il dolce prelibato? Che tipo di dolce, e perché prelibato?

Lo so, ci potremmo addentrare in discorsi infiniti, ma la scrittura non è semplice, e arretra da chi te lo dice, o da chi ti vuole far credere che basta poco a scrivere una storia. Sì, bastano anche pochi giorni, ma forse il risultato non è quello sperato.

Per scrivere occorre consapevolezza, certo, ma anche un po’ di stile… e un po’ di accortezza per il povero lettore, che sappiamo ama immergersi in un romanzo nella sua totalità, e soprattutto odia quando gli si impongono concetti prestabiliti.

E che cavolo! Io voglio sapere com’è questa casa così splendida, voglio vedere com’è questa ragazza che Margherita considera strana, e voglio sentire nelle mie papille gustative questo dolce così prelibato. Ne ho diritto!

Quindi abolisci tutti gli aggettivi deboli e inizia a far uscire dalla tua testa creativa un po’ di fantasia.

Una scrittura per immagini

Sto leggendo un romanzo che mi sta piacendo tanto (di cui pubblicherò a breve la recensione) e, giusto per scrupolo, o deformazione professionale che dir si voglia, mi sono messa a cercare aggettivi deboli o concetti scontati.

Ebbene: sia l’autore sia l’editor hanno fatto un buon lavoro, perché non ne ho trovati.

Ogni emozione è mostrata, ogni oggetto pure, ogni sensazione riecheggia grazie a paragoni o metafore mai scontate.

Questa è senz’altro una scrittura matura e per immagini.

Certo, non tutti siamo grandi scrittori, men che meno la sottoscritta (a volte mi lascio tentare dalla pigrizia, ne convengo), e non dico di arzigogolare il nostro testo di iperbole o altro, ma una buona partenza è, appunto, scovare tutti gli aggettivi deboli e sostituirli con qualcosa in più.

Ti hanno detto che l’editing è eliminare buona parte del testo? Sicuramente, pure Stephen King lo consiglia, ma in certi casi è meglio una spiegazione in più, un’immagine in più.

Quella ragazza la guardavano tutti. Non solo gli adolescenti che si davano di gomito e sussurravano ogni volta che saliva, sempre alla stessa fermata di Bellecour e sempre alle 17.30, minuto più e minuto meno. Pure qualche anziano smetteva di fissare il finestrino e la occhieggiava, facendo scorrere lo sguardo prima sui ricci che le incorniciavano il viso e il cui il rosso ramato si rifletteva sui sedili, e poi lungo il cappotto di lana viola da un lato e verde dall’altro, stretto quanto bastava per evidenziare un seno che proprio non ne voleva sapere di essere compresso sotto quella stoffa. Per finire sulle lunghe gambe fasciate in collant rosa Big Babol e sugli anfibi con i lacci arcobaleno.

Ma a Margherita erano rimasti soprattutto impressi gli occhi. Occhi che vagavano qua e là appena entrava e che non smettevano di fissare intorno a sé anche quando la ragazza si era seduta o era aggrappata a una maniglia. Occhi che cercavano. Occhi che scrutavano. Occhi che volevano dire: ti prego, fa’ che non sia qui.

Margherita conosceva bene quello sguardo. Era lo stesso che aveva avuto per due anni. Per i due anni in cui Arturo aveva fatto parte della sua vita.

Sei d’accordo anche tu che questo testo, riscritto, pur avendo altre criticità suona decisamente meglio del precedente?

Spero di sì.

Invece che usare aggettivi deboli ho cercato di mostrare perché questa ragazza susciti attenzione negli altri e soprattutto in Margherita. Visto che vediamo la scena dal suo punto di vista, ho cercato di mostrarlo attraverso i suoi occhi.

Ciò ha impiegato qualche paragrafo in più, ma almeno le immagini che ne escono sono visive: so che la ragazza in questione ama vestirsi usando vari colori e so anche che qualcosa la spaventa. Come so che molti la guardano, vecchi e giovani, e i primi non lesinano a far scorrere lo sguardo sul suo corpo. E so pure che Margherita la ritiene spaventata perché in lei rivede la se stessa di prima.

Informazioni in più che danno colore alla scena aggiungono quel qualcosa che potrebbe spingere il lettore a continuare la lettura e non a chiudere il libro.

Foto di Erbs55 da Pixabay

In conclusione

Un veloce articolo come questo non sarà mai abbastanza esaustivo per colmare tutte le lacune che ho lasciato e per terminare il discorso sullo show, don’t tell: ci vorrebbe un intero libro, e forse anche in quel caso qualcosa rimarrebbe indietro.

Per permetterti però di avere quantomeno qualcosa una volta terminata la lettura, ecco qualche veloce consiglio per eliminare gli aggettivi deboli dal tuo testo.

Primo consiglio: quando scrivi la prima stesura, a meno che tu non abbia momenti di particolare creatività, essa sarà piena di aggettivi deboli e di raccontato. Fregatene. Continua a scrivere e arriva alla fine.

Correggere in fase di scrittura è deleterio perché ti impedisce di concludere, e rischi di impantanarti.

Secondo consiglio: riscrivi qualsiasi scena debole o poco chiara solo durante la fase dell’editing.

L’ideale sarebbe evidenziare tutti i passaggi di raccontato, aggettivazione e avverbi con colori diversi, così da avere da subito un colpo d’occhio su cosa è necessario migliorare.

Terzo consiglio: nel riscrivere le scene mostrando e non raccontando, cerca anche in questo caso di non adagiarti su cliché e frasi fatte.

È il caso di dire che “tremava dalla paura” e “tremava come una foglia” non vanno bene! Usa la fantasia, evita il già sentito.

Ultimo consiglio: lascia correre la fantasia!

Non è il caso di aggiungere altro 🙂