Ormai si sa, di errori di scrittura se ne commettono un po’ ovunque, e chiunque, anche lo scrittore più in gamba, non ne è esente.

Certo, alcuni saltano subito all’occhio, anche all’editor in erba; altri invece riguardano lo stile e sono più difficili da scovare.

Ne vediamo tre oggi: mi raccomando, evitali!


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Vocaboli deboli

Sono tutti quei vocaboli il cui utilizzo non comporta un errore grammaticale, ma, essendo deboli, non apportano nulla alla narrazione e, peggio, l’appesantiscono.

Ad esempio:

Quasi

Un tantino

Un po’

Alquanto

Al punto giusto

Troppo

Molto…

Oltre a risultare ripetitivi (non conto gli “un po’” e i “molto” che spesso trovo in alcuni testi!), sono superflui e, come scrivevo prima, appesantiscono.

Di solito esiste sempre il termine più preciso che ci permette di evitare questi vocaboli deboli, garantendoci così un’economia nella scrittura. Ossia: se possiamo dire la stessa cosa con meno parole, perché non farlo?

Mi sento molto stanco = mi sento esausto

Sono alquanto arrabbiato = sono furioso

È troppo felice = è raggiante

Un colore molto rosso = un rosso granata/carminio, un color granata/carminio

Verbi deboli

Anche alcuni verbi sono deboli e appesantiscono.

Spesso, poi, se impiegati in un certo modo rendono il significato contrario di ciò che si vuol dire.

Alcuni esempi:

Provare a

Tentare/cercare di

Iniziare/cominciare a

Verbi di questo tipo vengono usati soprattutto all’orale, e per questo motivo poi traslati nello scritto. In quest’ultimo caso, però, funzionano solo in contesti ben precisi, che vediamo fra poco.

Usare questi verbi è sintomo di una scrittura incerta, debole, e noi non vogliamo che la nostra scrittura sia così, giusto?

Perché provare a chiamare una persona se possiamo chiamarla subito?

Anche perché si creerebbe un controsenso: Mario provò a chiamare Luisa. Quando rispose, le disse che avrebbe tardato.

Provare (come cercare, tentare, sebbene con alcune sfumature) vuol dire fare una prova, nel caso del nostro esempio provare a chiamare Luisa. Ma se questa risponde, non è più una prova!

Il verbo è corretto se la frase fosse così: Mario provò a chiamare Luisa, ma il cellulare risultava spento.

In questo caso, Mario ha fatto una prova, ma non è andata a buon fine.

Con iniziare/cominciare è più o meno lo stesso: perché scrivere che Mario inizia a fare qualcosa se può farla direttamente?

Mario iniziò a fare le valigie, poi andò in cucina.

Se Mario ha fatto le valigie, è meglio mettere: Mario fece le valigie, poi andò in cucina.

Soltanto se qualcosa lo interrompe possiamo utilizzare “iniziare”: Mario iniziò a fare la valigie, poi sua moglie lo chiamò e dovette raggiungerla in cucina.

Vocaboli generici

Qui siamo di fronte a vocaboli non deboli, ma generici.

Ossia, dicono tutto ma non dicono niente.

Tipici di una scrittura raccontata e non mostrata, lasciano il lettore indifferente, il quale qualche riga sotto ha già dimenticato tutto.

Bellissimo/a

Delizioso/a

Stupendo/a

Bruttissimo/a

Cosa/qualcosa

Il tutto…

Quante volte ti è capitato di leggere di un uomo bellissimo che insieme a una donna stupenda si gusta una cena deliziosa?

O di qualcosa che non funziona, e quindi bisogna aggiustare la cosa, sistemare il tutto…?

Tutti questi termini sono vaghi e non dicono nulla. Un personaggio è bellissimo, stupendo, bruttissimo, ma perché? Che cosa lo rende tale? E soprattutto per chi? Può esserlo per lo scrittore, ma magari agli occhi di chi legge è un mostro.

Usare i superlativi forse sembrerà sinonimo di essere più precisi, ma in questi casi la soluzione è: mostrare, mostrare, mostrare. Sarà poi il lettore a giudicare se Mario è bellissimo/bruttissimo e così via.

E il vocabolo “cosa”/”qualcosa”? Quante volte lo usiamo impropriamente? Tante, troppe.

Idem per “il tutto” e simili, come “tutto questo”, “tutto ciò”. Ma tutto ciò che cosa?

Se puoi, cerca sempre un termine più specifico: situazione, problema, soluzione, o ancora più specifico, inerente a quello che stai scrivendo.