Hai già fatto qualche fioretto per l’anno nuovo? Io sì: dedicarmi alla scrittura in maniera full time. Spero di riuscire a farcela!
Questo articolo però non riguarda me né eventuali propositi per il 2022. O meglio, non lo riguarda al cento percento. Perché quello di cui ti parlerò oggi potrebbe essere il tuo, di fioretto. Chissà!
Oggi, infatti, vediamo di fare luce su due errori gravissimi di scrittura: se ti ci ritrovi, chissà che per l’anno che è appena nato tu non decida di evitarli. Una volta per tutte.
Lo spiegone: aiuto!
Primo gravissimo errore di scrittura creativa (con la saggistica c’è invece più tolleranza): lo spiegone.
Davvero, non so te, ma io li detesto.
Hai presente una bella storia, che ti prende, ti trascina, insomma, fai davvero fatica a staccarti dalle pagine? Ed ecco che lo scrittore interrompe tutto per… spiegare.
Mi è capitato proprio di recente. Ho terminato un libro, che in verità non è che fosse proprio nella top ten dei page-turner, ma si lasciava leggere. Verso la fine ha preso un’accelerata. Per terminare pochissimo dopo di fronte al muro: lo spiegone. Finalmente era stato scoperto l’antagonista, e cos’ha deciso lo scrittore (non menzionerò il suo nome né il titolo del libro, neppure sotto tortura!)? Cinque o sei pagine in cui il sopraccitato antagonista raccontava tutte le malefatte, e spiegava perché le avesse commesse, dove, quando e come. Uno spiegone, appunto.
Mamma mia, mi sono cadute le braccia. Ripeto: detesto gli spiegoni.
Questo esempio mi serve anche per farti capire come questi… escamotage? non saprei nemmeno io come definirli, vengono usati dallo scrittore (in erba o affermato che sia).
1) La spiegazione finale del villain (può essere un fantasy, un thriller, un noir): il nostro viene scoperto e si spertica in un monologo (nel senso letterale del termine) che lo scrittore usa perché tutti i nodi vengano sciolti. Nulla viene lasciato indietro, e il lettore si ritroverà sommerso (di nuovo, nel senso letterale del termine) da una valanga di informazioni, alcune magari nemmeno utili. Morale: il lettore, soprattutto quello più attento e quello che non vuole essere preso alla stregua di una spugna che assorbe qualsiasi cosa, si sente tradito. E preso per i fondelli. Ma insomma, dice, ci sarei arrivato anche io, bastava che mi desse qualche indizio! Non sono mica scemo, che mi si deve spiegare tutto.
2) Il racconto nel racconto (anche qui, abbraccia qualsiasi genere): arrivati a un certo punto della storia (un punto qualsiasi), occorre raccontare qualcosa. Può essere un retroscena, un flashback, la storia di uno dei personaggi. Ci sono tanti modi per farlo, ma in questo caso l’autore sceglie lo spiegone, magari sotto forma di monologo. E quindi parte un pippone di numerose pagine, inframmezzato magari da domande mirate da parte dell’interlocutore (ma in realtà è l’autore a farlo, per pilotare il dialogo-monologo e far sì che vada dove lui voglia che vada). Sbadiglio, occhi che guardano dappertutto fuorché la pagina. E ancora una volta il lettore si domanda: ma tutte queste informazioni, questo diluvio universale, non potevano essermi date un poco alla volta?
3) C’era una volta (tipico dei fantasy e degli storici): si parte dal principio (ma proprio da lì) e si bombarda il lettore della storia di X (può essere un luogo o una persona), da quando è nato/sorto fino ai tempi recenti (ossia, il momento in cui si svolge il romanzo). Se il lettore non si è stufato prima, sarà nuovamente portato a chiedersi perché diamine lo scrittore lo abbia subissato di informazioni, quando, di nuovo! queste potevano essere date poco alla volta.
Ora, se per i punti 1 e 3 c’è poco da fare, se non ridurre all’essenziale, per il punto 2 si può anche chiudere un occhio (anzi: socchiuderlo, sempre meglio rimanere con la guardia alta). Tantissimi romanzi, soprattutto contemporanei, utilizzano il racconto nel racconto per inserire un retroscena che è essenziale ai fini della storia. Però, se bravi, e bravi davvero, lo fanno in una maniera tale da non dare al lettore tutte le informazioni, ma soltanto quelle fondamentali. Il resto, il lettore (attento) lo capirà da sé.
Un esempio sono i racconti di H. P. Lovecraft. Egli faceva largo uso di questa tecnica, ma alzi la mano chi ne era annoiato! Ecco un passaggio de La maschera di Innsmouth. Nello specifico, è il momento in cui il protagonista ascolta la storia del beone Zadok, sulla città. Essendo lungo, ti lascio soltanto la parte più importante e di cui parlavo prima: quella in cui Lovecraft accenna a qualcosa senza dirlo esplicitamente. Basta che il lettore capisca (e capisce, fidati!).
Il corsivo è opera dell’autore.
«E allora, giovanotto? Non chiede più niente? Che ne direbbe di vivere in una città come questa, dove tutto imputridisce e muore, dove nelle cantine buie e nelle soffitte sbarrate di quasi tutte le case strisciano, gemono, saltano e latrano mostri? Le piacerebbe sentire urlare ogni notte dalle chiese e dalla tana dell’Ordine di Dagon, sapendo chi ulula insieme ai disgraziati di qui? E cosa proverebbe a Calendimaggio e alla vigilia di Ognissanti, se sapesse quello che sta per venire dal maledetto scoglio? Pensa che il vecchio sia un po’ tocco, eh? Be’, allora le dirò che tutto questo non è ancora il peggio! […] Lei vuole sapere che cos’è l’orrore, eh? Ebbene, non è quello che i pesci-demoni hanno fatto, ma è quello che stanno per fare! Da anni portano qui in città certe cose… le prendono dal posto in cui vengono. Le nascondono a nord del fiume, e le case di Water e Main Street sono piene di loro. Di quei diavoli e di ciò che hanno portato… Quando saranno pronti… le dico, quando saranno pronti… ha mai sentito parlare di uno shoggoth? Ehi, mi sta a sentire? Le dico che so cosa sono quelle cose… Le ho viste una notte, quando… eh… ahhhh… ah! e’yaahhhh…»
Da Vinci code
L’altro errore di scrittura creativa è opposto allo spiegone.
In pratica, invece di scrivere una storia l’autore scrive un codice Da Vinci.
Di cosa sto parlando? Be’, di una storia in cui, poiché l’autore detesta spiegare, dà tutto per scontato.
E quando dico tutto, intendo tutto. A volte, perfino i nomi dei personaggi (e ti ritrovi paragrafi in cui “andò a casa, pranzò, si stese sul letto e guardò la tv. Si addormentò…” Sì, ma chi?!).
Mesi fa ho letto un libro (di cui ancora una volta non dirò titolo né il nome di chi lo ha scritto) che era proprio così: un Da Vinci code. A un certo punto della storia uno dei personaggi si domanda: “Vorrei proprio sapere chi era questo Mario Rossi”. La mia nota a lato del testo è stata: “Mio caro X, non solo tu vorresti saperlo, ma anche il lettore!”.
I problemi di dare tutto per scontato, e di limitare troppo le informazioni, è di precipitare il lettore in un baratro in cui, privo di appigli, non può che abbandonarsi alla caduta. Sì, perché leggere uno di questi libri è proprio una caduta nel vuoto. E la botta finale fa male, molto male.
Alcuni esempi.
1) Totale assenza di soggetti: è l’esempio di poco prima. Nella storia i soggetti (intendo proprio il nome dei personaggi) sono usati con il contagocce, con il risultato che si fatica a capire chi sta facendo cosa.
2) Mancanza di retroscena: i retroscena servono, lo abbiamo capito. Non vanno bene allungati all’inverosimile, abbiamo capito anche questo, ma nemmeno ridotti in due frasi. Anche perché se il retroscena (può essere un fatto, la vita di un personaggio, ecc.) è limitatissimo, non entrerà nella testa del lettore. Egli rischierà di dimenticarselo, e serve a poco che lo scrittore alzi le mani a mo’ di difesa dicendo: “Eh, ma io l’ho scritto là”. Scritto cosa? Due frasi di numero che solo tu capisci?
Lo ammetto, io faccio parte della schiera di scrittori che detestano spiegare. Quindi il problema che affligge le mie storie (e i poveri editor e beta reader che devono leggerle) è che spesso svelo poco. Quindi mi tocca rivedere passaggi su passaggi, per dare quantomeno una cartina affinché il lettore si orienti. Anni fa ho tentato un racconto di una ventina di pagine su questo leitmotiv. Posso evitarti la fiumana di critiche dei vari beta reader, e sintetizzo con il loro comun pensare: che diavolo ho letto?