Uno degli errori che fanno tutti gli esordienti e gli aspiranti scrittori (me compresa) è scrivere troppo.
Quanti di voi stanno ridendo?
Quanti hanno già cliccato su quella fastidiosa x in alto a destra (o a sinistra, dipende che sistema operativo usate)?
Eppure, scrivere troppo è una banalità che nasconde davvero tante insidie. Perché scrivere troppo è un’arma a doppio taglio, e adesso vedremo il motivo.
Troppe informazioni
Come ho scritto all’inizio, scrivere troppo è un errore che fanno tutti gli esordienti. Ma che cosa intendiamo, di preciso, con scrivere troppo? Facciamo un esempio.
Melvyn, sua moglie Emily e la figlia Stella si erano trasferiti lì da circa un mese: avevano affittato una villetta da una loro conoscente, e contavano di trascorrervi un anno in tutta tranquillità. Emily era al terzo mese di gravidanza e Dio solo sapeva quanto aveva bisogno di un po’ di tranquillità. Lei e Melvyn erano comproprietari di una piccola casa editrice, in città e, mentre lui era anche scrittore, Emily si occupava della redazione del giornale locale. La figlioletta Stella, invece, aveva quattro anni, compiuti da poco. Melvyn ed Emily si erano conosciuti circa dieci anni addietro, quando ancora frequentavano la facoltà di Lettere all’università: lui era assistente, lei ancora studentessa. Avevano subito trovato una loro intesa, e si erano sposati di lì a pochi anni. Dopo, il colpo di fortuna: una vecchia lontana parente, di cui Emily non conosceva neanche l’esistenza, era deceduta lasciando un’ingente somma in eredità, sia a lei che agli altri membri della famiglia. Emily e Melvyn avevano, così, potuto soddisfare il loro sogno di aprire una casa editrice, che funzionava regolarmente da cinque anni.
Questo passo è tratto da un mio racconto in fase di stesura e sarà una parte che cancellerò per prima, riscrivendola completamente. Quando avevo scritto questo pezzo, avevo buttato sulla carta tutte le informazioni che mi sembravano utili, forse pensando più a un promemoria, un abbozzo di trama. Come vedete, è un pezzo molto noioso, pieno di punti che non servono a nulla e che possono essere tranquillamente rimossi. Eccoci arrivati a una possibile spiegazione dello scrivere troppo: dare al lettore informazioni superflue che nulla apportano alla narrazione complessiva e che hanno come unico scopo quello di generare noia.
Come capire quali punti sono superflui e quali no? Io, nel mio racconto, so perfettamente che cosa andrei a togliere e che cosa lascerei, ma l’ho saputo solamente rileggendolo e dopo che la storia aveva preso il suo corso, portandomi in una direzione precisa (per fortuna quella da me scelta!).
Un errore da “principianti” (passatemi il termine e permettete che lo utilizzi in maniera generica, considerando principianti, paradossalmente, anche scrittori più rodati) è di raccontare tutto subito, dare al lettore tutte le informazioni possibili e riempirlo di spiegazioni.
Quante volte ci capita di scrivere e riscrivere la stessa cosa, credendo di aiutare il lettore a capire mentre lo stiamo annoiando (se non confondendo)?
È meglio centellinare le nostre informazioni, darle a piccole gocce, tenere il lettore sulle spine e rivelargli poco per volta. Sicuramente sarà più invogliato a continuare la lettura.
Quando semplificare?
Se è assodato che ogni tanto bisogna semplificare, ci si pone la domanda successiva? Quando? Non mi basta sapere che devo togliere tutto quello superfluo alla storia, devo fare un passo in più. Perché semplificare non è solo rimuovere il superfluo; se così fosse sarebbe un gioco da ragazzi. In realtà, l’opera di taglia e cuci (più taglia) prosegue e intacca altri aspetti. Ad esempio occorre ridurre all’essenziale tutti quei periodi in cui non accade nulla.
In un
articolo sulla scrittura trovato tra i miei vagabondaggi sul web, c’era un bell’esempio che prendeva come spunto la favola di Cappuccetto Rosso, riscritta dall’autore del blog che vi ha inserito pezzi superflui. Uno degli intenti dell’articolo era farci capire che,
se la narrazione è un punto che va velocizzato, è inutile soffermarcisi. Se Mario va dal panificio e immediatamente dopo viene investito da una macchina, è superfluo scrivere:
Mario entrò nel panificio. Vide un pezzo di focaccia e decise di assaggiarlo; non aveva mai mangiato focaccia in vita sua ma aveva sempre desiderato provarla. Comprò anche del pane integrale e un etto di grissini. Quando uscì, non si accorse di stare attraversando sul rosso, immerso nel piacere estatico che un morso di quella focaccia gli stava dando, e una macchina, dopo aver lacerato l’aria con un acuto strombazzamento, gli finì contro, facendolo piroettare in aria.
Forse sarebbe più scorrevole scrivere.
Quel giorno, Mario decise di assaggiare la focaccia. Se la stava gustando, una volta uscito da Dolce e Salato, quando un suono stridente ruppe quel piacere estatico. Si voltò: l’unica cosa che vide fu il rosso cupo di un cofano, prima che l’auto lo prendesse in pieno e lo facesse volare in aria come una pallina da tennis.
Quando non semplificare?
Adesso che sappiamo che bisogna ridurre tutto all’essenziale, un altro errore sarà proprio di… ridurre tutto all’essenziale, con la conseguenza che la nostra storia sarà un misero osso rosicchiato, con qualche segno lasciato qua e là dai denti del cane vorace. Va da sé che se si toglie il superfluo e si accelera il ritmo della narrazione quando non c’è nulla da dire, non si semplificherà nel momento in cui, al contrario, la narrazione necessita di adeguata attenzione. Il gioco sarà nel dosare il “dire e non dire”, evitando di dare informazioni superflue e ritornando all’inizio del nostro problema.
In un interessantissimo saggio sul “Show, don’t tell” di Massai, l’autore fornisce alcuni esercizi dove il lettore deve riscrivere uno o due paragrafi di una storia, inserendo elementi di “mostrato” al posto del “raccontato”. Non è in questa sede che parlerò del “Show, don’t tell”, un aspetto della narrazione che tutti dovrebbero conoscere, però questo punto mi torna utile per spiegare dove è meglio non semplificare. Un pezzo di narrazione essenziale che viene scritto in due frasi, ad esempio:
Appena Daniele entrò in casa, Lucia gli disse che era incinta. Daniele ne fu scosso: lui era sterile.
Lungi da noi il discorso indiretto, per molti la morte del ritmo narrativo. In questo caso, la frase è ridotta all’essenziale, ma poniamo il caso che questo passaggio sia un elemento importante della nostra storia: ad esempio che la relazione tra Daniele e Lucia si incrina proprio in seguito a questa rivelazione e che lui, in preda a una forte rabbia, decida di fare qualche pazzia. Forse sarebbe il caso di allungarlo un po’. Ad esempio riscrivendo il passaggio nel discorso diretto. Stando attenti, però e di nuovo, a non dare troppe informazioni.
Facciamo un gioco? Se vi va, potete riscrivere quest’ultimo periodo aggiungendo più informazioni. Oppure potete provare a semplificare la prima citazione, tratta dal mio racconto. Vediamo cosa ne esce!
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