Siccome sto per cancellare il mio vecchio blog, “L’antico calamaio”, e non voglio perdere le recensioni lì presenti, ho deciso di riproporre le migliori qui.

Spero sia un modo per stuzzicare la tua curiosità e spingerti ad acquistare quello che per me è stato davvero un libro che ha meritato di essere letto.

Oggi propongo la mia recensione di Raccontami di un giorno perfetto di Jennifer Niven.


È una gelida mattina di gennaio quella in cui Theodore Finch decide di salire sulla torre campanaria della scuola per capire come ci si sente a guardare di sotto. L’ultima cosa che si aspetta però è di trovare qualcun altro lassù, in bilico sul cornicione a sei piani d’altezza. Men che meno Violet Markey, una delle ragazze più popolari del liceo. Eppure Finch e Violet si somigliano più di quanto possano immaginare. Sono due anime fragili: lui lotta da anni con la depressione, lei ha visto morire la sorella in un terribile incidente d’auto. È in quel preciso istante che i due ragazzi provano per la prima volta la vertigine che li legherà nei mesi successivi. I giorni, le settimane in cui un progetto scolastico li porterà alla scoperta dei luoghi più bizzarri e sconosciuti del loro Paese e l’amicizia si trasformerà in un amore travolgente, una drammatica corsa contro il tempo. E alla fine di questa corsa, a rimanere indelebile nella memoria sarà l’incanto di una storia d’amore tra due ragazzi che stanno per diventare adulti. 

Quel genere d’incanto che solo le giornate perfette sono capaci di regalare.

Raccontami di un giorno perfetto” (“All the bright places” il titolo originale) apparentemente può sembrare un classico young adult, dedicato, quindi, ad adolescenti e che tratta di temi “da adolescenti”. In realtà è molto più complesso. Anche qui, come spesso accade ultimamente in altri romanzi di cui ho letto la trama, vengono toccati temi forti, come il suicidio, la violenza famigliare e la sopravvivenza alla morte di una persona amata. Tutti argomenti da prendere con le pinze, con le implicazioni che portano. La Niven ha avuto un modo di trattare questi temi che mi è piaciuto molto: con un pizzico di umorismo sparso qua e là, per abbassare la soglia di tensione che essi spesso recano con sé. Umorismo, ma anche tanta, tanta tristezza. Uno di quei libri che, quando l’hai terminato, rimani anche tu un po’ sospeso tra realtà e finzione, e ti poni delle domande. A voi è mai capitato di porvi qualche domanda una volta terminato un romanzo, magari qualcosa che non avete capito bene? Beh, a me capita spesso. E la domanda che mi sono posta una volta chiuso questo libro è stata: “Perché?

Theodore Finch e Violet Markey sono due adolescenti tanto lontani quanto vicini: lui, afflitto da anni da una forma di depressione che lo porta spesso a sembrare quasi bipolare, con un padre che li ha abbandonati per accasarsi da un’altra parte e che conserva comunque una vena violenta; lei, ex cheerleader e amministratrice di un sito online, famiglia perfetta, che ha visto morire l’anno precedente sua sorella, Eleanor, in un incidente in macchina, e che vorrebbe scomparire anch’essa. Due ragazzi che devono fare i conti, ogni giorno, con i loro fantasmi personali. I loro destini si incrociano un giorno, sulla torre campanaria della scuola, dove entrambi si recano per vedere “com’è la vita da lassù”; in realtà, entrambi sembrano avere tutt’altra motivazione. Il loro incontro cambierà la loro vita. È come un fulmine a ciel sereno, quell’agognata ma temutissima freccia di Cupido che si insinua piano piano nel loro cuore. Le loro vite si intrecceranno ancora di più al momento di svolgere una ricerca per la scuola, inerente a tutti i posti più importanti dell’Indiana, il loro Stato. Per Violet e Finch, che la svolgeranno in coppia, sarà anche un nuovo inizio: Violet piano piano uscirà dal guscio nel quale si è rinchiusa dopo la morte della sorella, e Finch riuscirà a “stare sveglio”, a non cadere in uno stato di apatia da lui chiamato il Grande Sonno. La loro relazione sarà un crescendo di emozioni, fino a quando…

Non voglio fare spoiler, ma devo ammettere che la parte che mi ha lasciata più basita è stata la fine. Lo ammetto, per metà libro, pur apprezzando molto lo stile di scrittura, mi sono spesso trovata a sbuffare tra me e me, dicendo: “Che noia, il solito romanzo-pacca rosa strappalacrime” e così via. Non gli avrei dato più di due stelline, ragionando in classifiche. Mi sono dovuta ricredere. Sono molto sentimentale, e le emozioni forti mi fanno star male, ma da tanto tempo non mi commuovevo leggendo un libro. Tanto da continuare a esserlo dopo averlo letto. E una domanda mi frullava – e mi frulla – in testa: “Perché?” Perché le cose sono andate così? Non esistevano altre alternative? Non lo saprò mai.

Parliamo dei personaggi principali, Violet e Finch. Se devo essere nuovamente sincera, subito non ho amato il caro Theodore: mi è parso come uno sbruffone con un ego leggermente grande. Davvero, mi sono chiesta: ma che vuole sto tizio? Si crede di essere di essere così simpatico? Io lo manderei a quel paese, etc. etc. Non mi piaceva come ragionasse su Violet, decidendo per lei, balzando nella sua vita dall’oggi al domani e pretendendo di aiutarla, senza peraltro conoscerla del tutto. In realtà, Theodore Finch non è né un personaggio complesso con tendenze bipolari o egocentriche, né un fidanzato possessivo iper-geloso (per citare l’esempio di Hardin in After). Finch è un semplice ragazzo con una brutta situazione famigliare alle spalle e con un forte problema depressivo che lo porta spesso a essere aggressivo, alternando fasi di profonda apatia (ma su questo punto non capiamo molto, la Niven si limita a parlare di Grande Sonno e di Risveglio). Un ragazzo che nasconde la sua vera essenza dietro una maschera che si è costruito e che spesso cambia (“Finch anni Ottanta”, “Finch il cazzone”, etc.). Lui vorrebbe essere come gli altri, e non diventare spesso lo zimbello della scuola, il “Fenomeno”, lo “schizzato”. Proprio per questo, quando incontra Violet, e nota che lei non lo guarda né con scherno né disprezzo, sente che c’è qualcosa tra loro. Ovviamente, il legame che li accomuna è lo stesso desiderio che li ha spinti entrambi a salire sul campanile della scuola, ovvero lasciarsi tutto alle spalle per gettarsi nell’infinito.

Violet è, invece, l’esatto opposto. Dopo la morte della sorella, Violet non vive più. Sopravvive. Ogni giorno, con meticolosità, annota sul calendario i giorni che le mancano al diploma. La sua è ormai un’esistenza nell’ombra, nel tentativo di diventare invisibile. Cerca di schivare qualsiasi attività ricorrendo a Circostanze Attenuanti. Non guida più, né esce con i soliti amici. Anch’ella cambierà drasticamente dopo la conoscenza di Finch: sarà lui a far uscire “Ultraviolet” (com’egli la chiama) dalla grotta nella quale si era rifugiata. Una rinascita, anche per lei. Ho apprezzato molto il personaggio di Violet. Così delicata ma al contempo così forte, lei rappresenta l’emblema del “sopravvissuto”, di chi resta al mondo dopo che una persona cara se ne è andata. Lei ha un fardello alle spalle, che porterà con sé per sempre. Eppure, nonostante le Circostanze Attenuanti, Violet è forte. Sa che, prima o poi, dovrà ricominciare a vivere, nonostante tutto.

In definitiva, un romanzo che mi è davvero piaciuto: mi ha commossa, mi ha fatta pensare. Non è una di quelle letture che fai per rilassarti o che portavi sotto l’ombrellone alla spiaggia. È una lettura scorrevole, sì, ma anche impegnativa, su temi che nessuno di noi vorrebbe mai affrontare di persona. Purtroppo, spesso sono cose che capitano, e che portano a chiederci: “Com’è la vita, dopo? Com’è la vita per un sopravvissuto?” Ecco, Raccontami di un giorno perfetto parla proprio di questo.