Chi ha ucciso Margherita Boasso? Cosa si nasconde dietro il mistero della donna scomparsa? In uno schiocco di dita, ogni certezza può diventare fragilità.


Dopo qualche thriller, uno distopico, fantascienza e narrativa, più un autobiografico, il Secci ritorna alle origini, e più specificatamente nella sua città: Torino.

Una Torino autunnale e ventosa, oscura, di certo non la Torino che ti aspetteresti, con quel suo fiume principale, il Po, pregno di misteri e le cui acque, quasi torbide, sembrano sempre avvolgere (e nascondere) qualcosa.

In questa cornice plumbea, Lorenzo Santi, custode del circolo sportivo “I canottieri”, un uomo travagliato che sta lottando contro l’alcolismo, una sera scopre con orrore una donna sgozzata in bagno. Avverte la polizia, ma questa donna poi scompare. Che cosa è successo? È stata un’allucinazione? Un effetto dell’alcol?

Fatto sta che per il Santi inizia una spirale verso l’abisso, tra ricoveri in ospedale e continue pressioni da parte della polizia, che portano l’uomo letteralmente spalle al muro.

Parallelamente, si muovono su doppio filo le indagini della polizia e quelle dell’ex psicologo e adesso investigatore privato Alessio Porro, coadiuvato dalla procuratrice capo Caterina Conti. Ogni pista sembra però condurre al nulla, o, per rimanere in tema, a un punto morto del Po.

Finché, passo dopo passo, e smuovendo le acque sempre più torbide del fiume torinese, la verità non viene a galla.

Del Secci ho letto praticamente tutto, e particolarmente ho apprezzato il post-apocalittico Reset, poiché il genere mi è caro. Ho trovato, però, quest’ultimo romanzo di una lucidità disarmante. È difficile scrivere un poliziesco: ogni tassello deve essere posizionato al punto giusto; se qualcosa è sbagliato, le intere fondamenta cadono. Basta un niente, e il lettore capisce subito (e smette di leggere).

Con i pochi polizieschi che leggo, mi diverto a cercare di indovinare il colpevole, battendo le mani non quando ci riesco ma quando il lettore, grazie alla falsa pista, mi fa andare fuori strada e dire, alla fine: “Ah, però! Mi ha fregato”. È il caso de La stanza dell’acqua grigioverde. Prendi una strada (un’ansa del Po), sei sicuro che sia quella giusta e magari un po’ di noia ti accompagna, ma ecco che il Secci, vecchio volpone che conosce il mestiere, ti dirotta in una corrente avversa che ti trascina da tutt’altra parte. E, quando arrivi alla fine (se non anneghi prima), riemergi dall’acqua ridendo: perché, ancora una volta, sei stato fregato.

E la storia, va da sé, è riuscita.

Un mio plauso, quindi, all’autore, perché grazie a false piste e colpi di scena, che tengono il ritmo serratissimo, tira il lettore di qua e di là, implacabile, lasciandolo, alla fine, sgomento (ma felice, penso), sulla riva.

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