È uscito da pochissimi giorni e penso che la maggior parte degli amanti del genere lo stia già leggendo o l’abbia già letto.

Io ho avuto il piacere di partecipare al review party e ringrazio ancora la Mondadori per avermi omaggiato di una copia di questo libro che, nel modesto parere di una fra tanti, è uno dei più belli letti nel 2020.

Sto parlando del prequel della famosissima saga di Hunger Games: Ballata dell’usignolo e del serpente.


L’AMBIZIONE LO NUTRE, LA COMPETIZIONE LO GUIDA, MA IL POTERE HA UN PREZZO

È la mattina della mietitura che inaugura la decima edizione degli Hunger Games. A Capitol City, il diciottenne Coriolanus Snow si sta preparando con cura: è stato chiamato a partecipare ai Giochi in qualità di mentore e sa bene che questa potrebbe essere la sua unica possibilità di accedere alla gloria. La casata degli Snow, un tempo potente, sta attraversando la sua ora più buia. Il destino del buon nome degli Snow è nelle mani di Coriolanus: l’unica, esile, possibilità di riportarlo all’antico splendore risiede nella capacità del ragazzo di essere più affascinante, più persuasivo e più astuto dei suoi avversari e di condurre così il suo tributo alla vittoria. Sulla carta, però, tutto è contro di lui: non solo gli è stato assegnato il distretto più debole, il 12, ma in sorte gli è toccata la femmina della coppia di tributi. I destini dei due giovani, a questo punto, sono intrecciati in modo indissolubile. D’ora in avanti, ogni scelta di Coriolanus influenzerà inevitabilmente i possibili successi o insuccessi della ragazza. Dentro l’arena avrà luogo un duello all’ultimo sangue, ma fuori dall’arena Coriolanus inizierà a provare qualcosa per il suo tributo e sarà costretto a scegliere tra la necessità di seguire le regole e il desiderio di sopravvivere, costi quel che costi.

Se proprio devo essere sincera, avevo letto Hunger Games parecchi anni fa ma proprio non mi aveva convinto. Rileggendolo per il review party, invece, il giudizio si è capovolto: non sempre la prima impressione è quella giusta!

Quindi, quando ho letto la trama del prequel avevo già aspettative molto alte (a differenza dei sequel, che mi deludono sempre): come si sarebbe comportata la Collins a usare come protagonista quello che a tutti gli effetti è stato l’antagonista della trilogia su Katniss?

Il rischio di cadere nel già sentito, nei cliché era forte. Soprattutto in un periodo in cui il panorama editoriale è praticamente pregno di figure maschili belle e dannate che fanno battere i cuori a tutti.

La Collins avrebbe potuto adagiarsi su quanto vuole il mercato, piazzare un protagonista maschile negativo ma che sotto sotto non lo è e diventa così per via delle circostanze e bla bla bla… Insomma, il rischio c’era che il nostro Coriolanus assomigliasse all’Anakin Skywalker di Star Wars divenuto poi Darth Vader/Fener (chi ha visto la saga cinematografica sa cosa parlo).

E invece no.

Coriolanus Snow. Potrei dire talmente cose su di lui che impiegheresti mezz’ora a leggere questa recensione, ma cercherò di non farlo. Sappi che però è entrato a pieno diritto nel mio piccolo (piccolissimo) podio di personaggi maschili come si deve (e in tutti i romanzi che ho letto negli ultimi anni vi ho inserito solo Alabaster de La Quinta Stagione, a notare le mie forse eccessive esigenze).

Coriolanus Snow è un personaggio che sa benissimo quello che vuole, fin dalla mattina della mietitura, momento in cui si apre il romanzo. Tutti gli avvenimenti che lo vedranno protagonista da quel punto in avanti forgeranno solamente un carattere che è già latente, e che lo colloca nella ahimè poco nutrita schiera di eroi negativi che popolano la letteratura.

Il nostro futuro presidente di Panem sa cos’è il potere, lo sa perfettamente. Magari ci saranno momenti in cui altre emozioni vorranno sviarlo (come la misteriosa Lucy Gray), ma il potere, la brama di potere, è insita in lui. In fondo è uno Snow, e gli Snow si posano sempre in cima.

Il romanzo meriterebbe di essere letto solo per lui, ma la Collins ha voluto metterci di più, e così assisteremo a una versione raffazzonata e grezza degli Hunger Games, ma non per questo meno cruda e crudele, e ritorneremo nel nostro amico Distretto 12, non da abitanti ma da Pacificatori, con una visione tutta nuova della città e del Giacimento. Assisteremo a canti e ballate (quella dell’impiccato ti ricorderà qualcosa, se hai letto Hunger Games), e assisteremo anche al chiasso delle ghiandaie imitatrici, e ne ha ben donde il caro Snow a odiarle già da subito!

Come nella precedente saga, i colpi di scena sono dietro l’angolo, e davvero: qualsiasi cosa ti aspetti che accada… non accadrà. Fidati. La Collins è troppo brava a creare storie per raccontarti qualcosa di già sentito, e questo è un altro punto a favore del libro, bello corposo (500 pagine!), ma che si legge veramente tutto d’un fiato.

Insomma, Ballata dell’usignolo e del serpente merita di essere letto, e spero che queste mie poche frasi ti abbiano incuriosito a sufficienza.

Io spero invece che la Collins ci sforni qualcos’altro da quel di Panem, perché non mi spiacerebbe affatto tornare nell’arena. O sentire ancora una volta una ghiandaia imitatrice.