Scrivere un buon dialogo è un’arte che non può essere appresa in due giorni e nemmeno in dieci anni. È un lavoro costante che lo scrittore, anche il più bravo, fa su di sé e sulle proprie storie. Cancella e riscrive, cancella e riscrive, finché il dialogo non è quello giusto.

Ossia, è verosimile, porta avanti la storia, dà voce al carattere di ciascun personaggio.

Scrivere un dialogo non è quindi facile e ci vogliono ore e ore di tentativi.

Prima di capire quali sono i trucchi per un dialogo efficace, dobbiamo però capire cosa evitare.


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As you know, Bob…

Molti di voi hanno sicuramente letto da qualche parte questa frase, e se hanno seguito un corso di scrittura creativa il docente gliene avrà parlato.

Visto che in questo articolo stiamo parlando di dialoghi inverosimili, gli as you know, Bob possono tranquillamente sedersi sul podio.

Un dialogo inverosimile di questo tipo avviene ogni qualvolta i personaggi non parlano più con la loro voce bensì con quella dell’autore. In altre parole, l’autore si sostituisce ai personaggi per dare un’informazione al lettore, informazione che i personaggi, se avessero parlato con la loro voce, non avrebbero avuto motivo di dare, per svariate ragioni.

Ecco qualche esempio per farti capire meglio.

«Ciao, Maria, da quanto tempo non ti si vede. Come stai?»

«Ciao, Mario, non proprio bene. Mia sorella Giovanna e suo marito Pietro hanno avuto un incidente mentre si recavano nella nostra casa in montagna, a Valtournenche, dove abbiamo una villetta.»

Ipotizzando che Maria e Mario si conoscano da un po’, che senso ha far dire a Maria “mia sorella Giovanna“? A meno che non ne abbia due, Mario dovrebbe conoscere il suo nome. Idem per “suo marito Pietro“. Stessa cosa riguardo alle informazioni sulla casa in montagna.

A volte as you know, Bob è molto più esplicito:

«Ciao, Maria, da quanto tempo non ti si vede. Come stai?»

«Ciao, Mario, non proprio bene. Come sai, mia sorella Giovanna e suo marito Pietro hanno avuto un incidente mentre si recavano nella nostra casa in montagna, a Valtournenche, dove abbiamo una villetta.»

Come sai: as you know, Bob.

Ogni volta che sei tentato di dare un’informazione al lettore e come ultima spiaggia decidi di metterla in bocca al tuo personaggio, ragiona sempre se questo può renderlo inverosimile.

Riassunto della puntata precedente

Questo tipo di dialogo non è tanto inverosimile quanto proprio superfluo.

La causa a monte sta nel fatto che l’autore vuole scrivere tutto (ma proprio tutto!) quello che sta accadendo, dimenticando un elemento fondamentale: se una informazione è già stata data al lettore, non ha senso ripeterla.

Mario incontrò Maria fuori del supermercato.

«Ciao, Maria, da quanto tempo non ti si vede. Come stai?»

«Ciao, Mario, non proprio bene. È dal giorno dell’incidente di mia sorella che faccio la spola tra casa e ospedale.»

«Mi dispiace. Come stanno?»

«Mia sorella ha una gamba rotta. Mio cognato… be’, non è ancora uscito dal coma.»

Mario salutò Maria rientrò in casa. Sua moglie stava finendo di preparare il pranzo.

«Oggi ho rivisto Maria, finalmente!»

«Oh, e come sta?»

«Male. Sai che sua sorella e suo cognato hanno avuto un incidente? Lei ha una gamba rotta, ma lui purtroppo non è ancora uscito dal coma.»

«Mi dispiace molto. E Maria come sta?»

«Fa sempre la spola fra ospedale e casa, poverina…»

Il dialogo di per sé è accettabile, anche se in un romanzo farebbe addormentare anche un insonne, ma non funziona. Perché? Perché le informazioni che Mario dà alla moglie il lettore le conosce già. Non ha senso riscriverle.

L’escamotage più usato e che funziona (questo sì) è mettere semplicemente: Mario aggiornò la moglie sulle condizioni della sorella di Maria e di suo marito.

Può capitare di scrivere riassunti di puntate precedenti inerenti un dialogo, ma anche riassunti di scene (Mario fa un incidente, non grave, poi torna a casa e questa volta racconta per filo e per segno alla moglie la sua disavventura), di incubi (frequentissimo: dopo l’incubo, che l’autore descrive minuziosamente, il personaggio sente il bisogno di raccontarlo a qualcuno e lo fa, di nuovo minuziosamente), e così via.

Ogni volta che ti trovi a dover ripetere un’informazione chiediti: è utile per il lettore? Se non lo è, evita di farlo.

Spiegone

Ed eccoci arrivati a un altro dialogo inverosimile. Tra i quattro, è quello che trovo dappertutto (anche in libri di autori famosi!).

Lo spiegone. Ovvero, un pippone lungo lungo e digeribile come un piatto di sassi.

Piccola premessa. Capita spesso di dover far raccontare a un personaggio una vicenda, o la sua storia. Non bisogna evitarlo se questo è fondamentale per la comprensione dell’intreccio (in caso contrario il lettore potrebbe perdere un pezzo essenziale della storia). Bisogna però farlo con arte (eh, sì).

Esempi di questo tipo si trovano spesso nei racconti di Lovecraft (qui un esempio).

Se ben scritto, questo “spiegone” è digeribile e soprattutto il lettore non lo considera tale.

In tutti gli altri casi, è bene una profonda cura dimagrante.

Si tratta ad esempio dei cosiddetti villain speech: quando il cattivo di turno viene sgamato (può essere un killer, il re tirannico di un luogo fantastico che vuole distruggere il mondo…), si spertica in un (noioso) monologo in cui spiega per filo e per segno com’è giunto a compiere (o a tentare di compiere) la sua azione, che sia uccidere una persona o cercare di distruggere Terrartica.

Una noia che non auguro nemmeno al mio peggior nemico.

Le informazioni vanno date, certo che sì. Ma vanno pure dosate. La sostanza, vedrai, non cambia.

Già detto…

Ultimo dialogo “inverosimile”. Uso le virgolette perché anche qui, come nel caso dei riassunti di puntate precedenti, il dialogo non è di per sé inverosimile quanto superfluo.

Ecco un esempio.

Mario arrivò giusto in tempo al ristorante. Sua moglie era già lì ad aspettarlo e lo guardava battendo il piede per terra. Mario sapeva cosa significava quel gesto: la pazienza di Fiorella era oltre il limite. Avrebbe dovuto spiegarle che non era colpa sua se proprio mentre usciva di casa la vicina lo aveva ghermito e gli aveva chiesto di aiutarla a far scendere Fuffa dall’albero. E così, tra una ringhiata e una graffiata, il tempo era passato. Mario sorrise, si fece coraggio e parlò.

«Scusa per il ritardo, davvero. Quando sono uscito di casa la nostra vicina mi ha letteralmente agguantato e mi ha pregato di aiutarla a far scendere Fuffa dall’albero. Mi sono preso anche qualche graffio e quel gattaccio mi ha pure ringhiato. Il tempo è passato e…»

Se questo fosse un testo che dovrei correggere e non farina del mio sacco, evidenzierei i due periodi e sul commento a lato scriverei: informazioni già date, verificare dove tenerle e cancellarle dall’altra parte.

Scrivere dialoghi è un’arte, abbiamo detto. Nessuno li scriverà mai perfetti (nemmeno lo scrittore più bravo) e chiunque avrà bisogno di una mano. L’importante, e un buon punto di partenza, è evitare questi quattro errori. La storia sarà molto più scorrevole, e il lettore contento.