Come raccontare la paura (pillole di scrittura creativa, parte prima)
La paura è una delle tante emozioni che prima o poi ti capiterà di raccontare nelle tue storie, che siano d’orrore o di altro genere.
In effetti, l’atto di essere spaventato può capitare tutti i giorni, anche per un nonnulla.
Ma come raccontare quel sentimento che ti blocca sulla porta e ti mozza il respiro in gola senza cadere nel banale?
Mostrare è quasi d’obbligo
Quando si raccontano le emozioni, mostrarle è quasi d’obbligo. In caso contrario non riusciresti a rendere chiara l’immagine che hai in mente.
La scrittura è tanto raccontato, ma pure tanto mostrato.
In tanti casi prevale il “tell”, in altri il “show” è fondamentale per evitare di cadere in luoghi comuni oppure non riuscire a trasmettere le emozioni che hai in testa.
Ma come mostrare in maniera efficace un’emozione? E come mostrare un’emozione come la paura?
Paura mentale e fisica
La paura si mostra in ognuno di noi in stati mentali e fisici; anzi, posso dire che è qualcosa che parte da dentro di noi e si proietta all’esterno, come qualcosa che voglia uscire e che, quando lo fa, coinvolge il nostro corpo.
Ad esempio, a volte mi capita di bloccarmi sulla porta, al buio, e in preda a chissà cosa non riuscire a muovermi. Il fiato mi si blocca nel petto e vorrei urlare, ma non riesco.
Una sensazione che forse qualcuno di voi ha già sperimentato, dovuta a quel terrore del buio insito in ognuno di noi.
Un conto è provarlo, però, e un conto è raccontarlo agli altri, ai lettori.
Il rischio che si corre è di essere troppo generici, attingendo ad aggettivi e verbi e a stati d’animo banali che sì, possono dire quanto siamo spaventati, ma non lo mostrano.
E l’emozione, in questo caso la paura, rimane sulla carta, quando dovrebbe entrare nel lettore, trasmettergli le medesime immagini e sensazioni che il protagonista sta vivendo.
Qualche esempio.
Non so dirle che cosa accadde esattamente e nemmeno con le parole più straordinarie potrei rendere l’idea di quello che provai. So che il mio cuore si fermò e che la gola si strinse automaticamente. Con un movimento istintivo mi rannicchiai contro la testiera del letto, fissando quell’orrore. Il movimento rimise in funzione il mio cuore e il sudore cominciò a colarmi da tutti i pori.
Thurnley Abbey, Percival Landon
In questo breve passaggio di un bellissimo classico dell’orrore, c’è tutta la paura fisica del protagonista. Egli anticipa l’ascoltatore che non potrà rendere l’idea di che cos’ha provato, ma con due frasi riesce a mostrare la paura che lo ha avvolta quando ha visto “l’orrore” (in questo passaggio non ancora descritto, ma già rende l’idea). Il cuore si ferma, la gola si stringe, il corpo si rannicchia contro il letto, e ciò fa sì che il cuore riprende a battere e il sudore coli da tutti i pori.
Nel passaggio che segue, invece, l’orrore ha raggiunto l’apice e il protagonista è ormai avvinto dalla follia. Ti chiedo scusa perché è un riadattamento della versione originale, quindi non storcere il naso 🙂
Faccio del mio meglio. Mi persuado di essere più forte di Myers, la cui resistenza è stata solo di qualche settimana. Va Dorn ha tenuto duro per un anno. Forse il genio risiede nella forza. Il cervello si gonfia. Minaccia di farmi scoppiare il cranio […] Le emicranie! Mi dico che devo essere forte. Un altro giorno. Un altro impulso che mi spinga a completare un altro quadro. La punta del pennello mi seduce. Qualsiasi cosa per […] bucarmi gli occhi e avvertire l’estasi del sollievo. Ma devo tener duro. Su un tavolo, vicino alla mano sinistra, le cesoie attendono.
Orange is for Anguish, Blue for Insanity, David Morrell
In questo passaggio, la paura è soprattutto mentale, qualcosa che il protagonista ha nel cranio e che vorrebbe far uscire affinché l’orrore si risolva. Ma purtroppo non è così, e la frase “le cesoie attendono” rispecchia bene quale, forse, sarà l’esito della follia.
Anche in questo caso, l’autore ha mostrato le sensazioni del protagonista, senza ricadere in banalità e luoghi comuni.
Erano state le sue parole a fare tutto… i discorsi di Benny… aveva detto qualcosa al riguardo… uscire dal campo… se per caso esce… se prende a muoversi così… se prende a muovere così i piedi… se di colpo inizia a trascinare i piedi… a trascinare i piedi fuori dal campo di granoturco… Ma Benny dormiva. Non… poteva… vederlo… Dio grazie! Se solo qualcosa lo fermasse… Se solo si fermasse… Dio!
Lo spaventapasseri, Gwendolyn Ranger Wormser
Qui l’orrore è tradotto in una sorta di flusso di coscienza, brevissimo ma fondamentale per capire lo stato d’animo della protagonista. Non vi sono immagini vivide, ma solo pensieri scoordinati, che mostrano molto bene lo stato d’animo della donna. I puntini sospensivi sono usati in maniera magistrale e rendono perfettamente l’idea del panico.
Il breve racconto è tutto così, tanti dialoghi e pensieri, ma esprime una paura che va oltre ogni descrizione.
Cosa sarebbe successo se questi tre passaggio fossero stati scritti attingendo al dizionario delle banalità? Di certo non avrebbero avuto il medesimo peso che hanno.
Avresti potuto scrivere che “vidi quell’orrore in fondo al letto e spaventato mi rannicchiai contro la testiera”, oppure che “mi faccio forza, anche se la paura è tanta e il cervello mi scoppia”, o ancora che “non deve scappare, e per fortuna Benny sta dormendo”.
Non avrebbero avuto il medesimo effetto.
Quando si racconta la paura, quindi, occorre lavorare di rotelle e non solo mettere su carta le sensazioni fisiche, ma anche saperle mettere bene, scegliendo il momento giusto per dire qualcosa e il come dirlo.
Non adagiarti su aggettivi come spaventato, terrorizzato, su luoghi comuni come brividi che strisciano sulla tua colonna vertebrale. Usa tante sensazioni fisiche e, se sembra che non ti bastino, usa anche quelle mentali, con flussi di coscienza, monologhi, o anche dialoghi, urla.
Può essere una breve anticipazione: “Non so dirle che cosa accadde esattamente e nemmeno con le parole più straordinarie potrei rendere l’idea di quello che provai.” Oppure può essere qualcosa di veramente fisico: “Il cervello si gonfia. Minaccia di farmi scoppiare il cranio”. O ancora un crescendo di terrore panico: “Se per caso esce… se prende a muoversi così… se prende a muovere così i piedi… se di colpo inizia a trascinare i piedi… a trascinare i piedi fuori dal campo di granoturco… ”
Non è semplice, ma è comunque un buon esercizio per affinare le proprie doti di scrittore.
Ogni scena di paura, ovviamente, ha le sue esigenze, ma va mostrata al meglio delle tue potenzialità affinché riesca davvero a catturare il lettore, e magari a farlo tremare con il protagonista, così che, una volta finito di leggere, si guardi qua e là perché magari c’è qualcosa sotto il materasso. Chissà.