show don't tell scrittura creativa

I puristi dello “show, don’t tell” epurano qualsiasi elemento di “disturbo” dai testi che scrivono (se autori) e che correggono (se editor).

A me una scrittura in “tell” non dispiace, o perlomeno non sempre la vedo con gli occhi di fiamma.

Come sempre, però, a tutto c’è un limite, e nel caso della scrittura in tell c’è un limite che, se varcato, potrebbe annoiare il lettore… o peggio.

film photography of aman and buildings
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Show VS Tell

Per chi non lo sapesse, lo show riguarda un tipo di scrittura “mostrato”, dove emozioni, azioni e quant’altro sono mostrate (appunto) al lettore. Al contrario il tell riguarda un tipo di scrittura “raccontato”, dove si racconta, si descrive.

Va da sé che sarebbe bene usare un mix di show e tell per rendere il proprio stile il più accattivante possibile, e quindi evitare tutte quelle parole (aggettivi e avverbi soprattutto) che io chiamo deboli, perché non apportano nulla al testo e anzi impediscono al lettore di immergersi completamente (enfasi voluta) nella storia.

Appurato che occorre, quindi, un buon mix di show e tell, vediamo quali elementi del “raccontato” non funzionano e come evitarli (o eliminarli).

Aggettivi deboli

Iniziamo con tre esempi, utili a chiarire la differenza fra show e tell.

Un cancello delizioso racchiudeva una graziosa villetta circondata da un giardino bellissimo.

La giovane era alta e bella, con lunghi capelli castani che le incorniciavano morbidi il viso di un ovale perfetto.

«Smettila di prendermi in giro» disse Mario furibondo. Era arrabbiatissimo quel giorno. «So che mi stai tradendo, e so anche con chi» continuò fuori di sé.

Apparentemente… non c’è nulla che non va. Le tre frasi scorrono, non ci sono errori grammaticali, sintattici o altro. Tuttavia se hai un occhio esperto, e se conosci già i fondamenti dello show don’t tell, avrai storto il naso al primo aggettivo: delizioso.

Questi tre esempi portano almeno due constatazioni.

La prima: gli aggettivi utilizzati sono deboli, perché non dicono nulla. Un cancello è delizioso, sì. E allora? La giovane è alta e bella, sì. E quindi? Mario è arrabbiatissimo. Ah, davvero?

Sono tutti aggettivi il cui unico scopo è allungare la frase e appesantirla, perché la mente del lettore non li “vede” bensì li cataloga come semplici parole e prosegue oltre. Dopo una pagina ha già dimenticato il cancello delizioso, la villetta graziosa e il giardino bellissimo. E pure la giovane e pure Mario.

Questi aggettivi non accendono nessuna luce nella testa del lettore. Non “vede”, come dicevo prima.

E poi c’è la seconda costatazione: il cancello è delizioso, la villetta graziosa e il giardino bellissimo… ma per chi? Per il lettore? No, perché il lettore non se ne fa niente di questi aggettivi deboli. Cancello, villetta e giardino sono deliziosi, graziosi e bellissimi per l’autore, che vuole imporre il suo punto di vista. Magari io, lettore, potrei ritenere quel cancello tutto fuorché delizioso, e pure la giovane, alta e bella: magari al lettore sembrerà uno spaventapasseri.

La situazione è peggiore nel terzo esempio. L’autore ci dice che Mario è furibondo, arrabbiatissimo, fuori di sé. Ma cosa vede il lettore? Niente.

Ecco, potrei proseguire per altri tre o quattro paragrafi, ma non servirebbe: il tell, usato in questo modo, è da evitare. Lo scrittore pigro, o lo scrittore che vuole imporre il suo punto di vista, è uno scrittore poco attento al lettore.

Le soluzioni?

Nelle descrizioni è semplice: qualsiasi aggettivo debole va rimosso (e la frase non perderà di significato), e se proprio si vuol far capire al lettore che la villetta è bella, e che la giovane è bella, perché questo serve alla storia, basta mostrarlo.

Come si deve mostrare il fatto che Mario è arrabbiato.

«Smettila di prendermi in giro» gridò Mario. Apriva e chiudeva i pugni, le labbra tese in una linea retta. «So che mi stai tradendo, e so anche con chi.» Diede una manata sul tavolo che fece sobbalzare il piatto e rovesciare il brik del succo di frutta.

Avverbi (enteologia)

Tanti scrittori hanno studiato enteologia: ogni due righe usano un avverbio che finisce in -ente.

Ecco, questi, salvo rari casi, sono avverbi deboli e sintomo di scrittura in tell.

Facciamo qualche esempio.

Omaggiare degnamente

Imbattersi casualmente

Peggiorare ulteriormente

In alcuni casi l’avverbio è debole e ridondante. Imbattersi ha già in sé il significato di “incontrare per caso, trovarsi inaspettatamente davanti a qualcuno”, quindi l’avverbio a che serve? Idem con peggiorare ulteriormente. Se qualcosa peggiora, è ovvio che lo fa ulteriormente. Se omaggio qualcuno di qualcosa, è logico che lo faccio in modo adeguato.

Ci sono tantissimi altri esempi di enteologia (non contiamo in praticamente, veramente, completamente…).

Le soluzioni sono due ed entrambe sono drastiche: togliere ogni avverbio (e se lo farai noterai come la scrittura non perda di significato, anzi!), o sostituire l’accoppiata verbo+avverbio con una costruzione più incisiva. Solito esempio: Mario era completamente stanco > Mario era esausto > e per andare nello show > Mario trascinava un piede davanti all’altro e dovette appoggiarsi al muro per riprendere fiato.  

In conclusione: non è un errore da penna rossa o penna blu scrivere in tell, e talvolta è necessario farlo, però è sempre meglio mostrare qualcosa, anziché raccontarlo: ne va dell’immersione del lettore. Un lettore che si immerge nella storia potrà essere soddisfatto o scontento, ma prova qualcosa. un lettore indifferente è il peggior nemico di ogni scrittore.