hat-1702617_640Attenzione!

Questa non vuole essere una recensione né tantomeno un compendio de “i consigli di scrittura di XX”. Semplicemente, ho iniziato ieri il romanzo di Pupi Avanti Il ragazzo in soffitta, che mi ha catturato dalla prima pagina. Il ragazzo in soffitta è uno di quei libri dove l’autore riesce a raccontare… senza raccontare. O detta diversamente: dove l’autore mostra invece di raccontare.

Show, don’t tell! è una “regola” che chiunque si addentri nella scrittura deve conoscere. Di nuovo attenzione! Ho messo regola tra virgolette, perché, appunto, non si tratta di un elemento ferreo da seguire per forza. Parlare dello show, don’t tell richiederebbe paragrafi su paragrafi, e meriterebbe una trattazione a sé stante. Vi basti sapere (o ricordare), che per show, don’t tell si intende quella tecnica narrativa dove l’autore non racconta, bensì mostra.

Dove i personaggi non sono descritti, bensì agiscono.

Dove le scene non sono raccontate, bensì mostrate.

Dove anche il più piccolo dettaglio può essere utile per affascinare il lettore.

Chiunque tra voi avrà senza dubbio iniziato un libro e ne è stato catturato dalle prime pagine. Proseguendo la lettura, ne è rimasto talmente coinvolto da non accorgersi neanche che stava ancora leggendo a notte inoltrata. Ebbene, un romanzo carico di mostrato catturerà maggiormente il lettore.

Tornando al libro in oggetto, Il ragazzo in soffitta ha lo stile che piace a me. Crudo ma poetico, fluido ma lento. Il mostrato soppianta il raccontato, e le sensazioni di ciascun personaggio sono fatte vivere, e non descritte.

Vi riporto un passaggio che a me è davvero piaciuto. Uno dei due protagonisti è al punto di svolta. La scoperta che sta per fare cambierà drasticamente le sue percezioni e il mondo in cui ha vissuto. Capirete che è un passaggio essenziale, e che deve avere il giusto pathos affinché il lettore comprenda la sua importanza. Pertanto l’attimo è descritto come se durasse ore, come se la scoperta del protagonista si protraesse all’infinito.

C’è un tempo dilatato, all’infinito, che sta dentro a un altro tempo, che ne contiene un altro e un altro sempre più grande, ecco io voglio che non passi mai quel tempo che c’è fra lui che sta digitando quel nome e quello che sta apparendo sul mio monitor Dell da ventiquattro pollici. E giuro che non c’è nessun figlio tanto testa di cazzo coi suoi genitori, da meritare di leggere quello che c’è scritto adesso di suo padre lì, su quel monitor di merda.

Fra le cose che ho vissuto nella mia vita o che vivrò so di sicuro che questa resterà per sempre quella più bestiale, il momento in cui ho davvero visto come la vita ammazzi un ragazzi, come lo abbranchi e cominci a stringere facendogli uscire tutto il bello che aveva, riempiendolo di un male, che ogni giorno diventa più grande, nelle ossa, nelle budella, nelle vene, nel cuore senza lasciare una parte che non si infetti. E così nei baci che darà ci sarà dentro quel male, e anche nelle pose che farà per la fotografia della scuola o nel modo che giocherà alla Play ci sarà quel male e persino dentro il cheeseburger e nella firma della sua prima carta d’identità. Per sempre ci sarà nella vita quel male a renderlo infelice.

Un semplice attimo, un momento brevissimo viene descritto in quasi una pagina e mezza. Però, come avrete capito, questa pagina e mezza è essenziale per far capire l’importanza del momento, quel punto di svolta tra il prima e l’adesso. Lo scrittore ha mostrato l’avvenimento attraverso i sentimenti dell’altro protagonista, invece di limitarsi schematicamente a scrivere: “accese il pc, digitò poche parole e ciò che lesse lo sconvolse, anche se già lo immaginava”.

La tecnica dello show, don’t tell è molto complessa ed è anche un’arma a doppio taglio; ma di questo magari ne parleremo in altra sede.

Voi? I vostri racconti hanno più “tell” o più “show”?