Qualsiasi lettore forte è anche un lettore esigente, soprattutto se legge da anni (e per anni intendo venti, trenta) e soprattutto se ha letto qualsiasi genere.

Oggi, con l’aumento del numero di libri autopubblicati, ossia con l’entrata nel mercato di un numero enorme di scrittori, ma soprattutto di un numero enorme di “finti-scrittori”, si assiste a una piattezza narrativa davvero desolante. E desolante è anche il fatto che, spesso, oltre ai “finti-scrittori” autopubblicati, anche le case editrici si sono adagiate sul piattume.


Antarctic mountains
Antarctic mountains by NASA Goddard Photo and Video is licensed under CC-BY 2.0

Che barba che noia

Quante volte ti è capitato di iniziare un libro e poi di interromperlo perché era noioso e soprattutto sapeva di vecchio? A me tante, sia di scrittori autopubblicati sia di scrittori editi da una casa editrice (questo per ripetere che il piattume è un male che si è espanso dappertutto).

Scavando nella memoria, ricordo che, dopo l’uscita de Il codice Da Vinci di Brown, tantissimi libri venivano scritti sullo stesso leitmotiv. Idem dopo Twilight e, poveri noi, dopo Cinquanta sfumature. Sulla scia del successo di questi libri (sono solo tre esempi, ce ne sono anche tanti altri), numerosi autori hanno scritto cose simili, per cavalcare l’onda, diciamo, e prendersi la propria fetta di torta. Se prima però era un fenomeno… passeggero, adesso l’onda viene cavalcata a lungo, e genera una serie di libri tutti uguali – e noiosi.

Questo articolo non esplora il panorama editoriale bensì si sofferma su tre tipologie di storie la cui impalcatura si replica a mo’ di meme e alla lunga diventa pesante. Nel primo caso non riguarda la trama in sé bensì l’ambientazione, il contesto, tuttavia il risultato non cambia: sempre noia è.

Vediamole una per una.

Happy people in happy land

Qualsiasi scrittore di un certo livello ci insegna che in ogni storia deve esserci conflitto. Anzi: la storia è conflitto (ti consiglio, a questo proposito, il corso di scrittura gratuito di Fabio Bonifacci, dove il conflitto è spiegato magistralmente).

Ci interessa leggere le vicende di Mario o di Maria perché siamo spinti dal conflitto che a sua volta motiva le loro azioni. Un conflitto porta sempre a un evento. Se non c’è conflitto, non c’è evento, e la storia può anche proseguire per cento pagine, ma non decollerà mai.

Ultimamente si leggono tante storie in cui… la gente è felice in un mondo felice: protagonisti circondati da famiglie superfelici, con tantissimi amici e un partner che li adora. Il lavoro è fenomenale e non c’è nulla che vada male.

Se non c’è nulla che va male, che senso ha continuare a leggere la storia di Mario o di Maria? Se sono felici così come sono, che senso ha scrivere di loro?

Non dico che debbano accadere fatti tragici, basta soltanto inserire un conflitto e aizzarlo.

E soprattutto: aizzarlo subito, non dopo cinquanta pagine. Il rischio è che il lettore, attorniato da nuvole di pan di zucchero, non ci arrivi nemmeno, alle cinquanta pagine.

E tira e tira e tira-là!

Tipico dei romanzi con l’aspetto amoroso predominante, è il tira e molla: si prendono, si lasciano, si prendono-si lasciano-si prendono si lasciano e via così.

In pratica cento pagine di tira e molla. La trama è il tira e molla, dietro non ruota nulla. Non abbiamo altre informazioni, altre sottotrame, niente: solo il tira e molla dei protagonisti.

Qualcuno storcerà il naso e mi dirà: ma questa è la trama di tutte le storie d’amore, non c’è altro!

Invece c’è altro. Non tutte le commedie (o tragedie) romantiche si fondano sul tira e molla, innanzitutto, e poi, qualora ci fosse, è circondato anche da alcune sottotrame che arricchiscono un andamento principale che, se lasciato solo, non può che annoiare.

Anni fa lessi un romance urban fantasy in cui i 2/3 erano un tira e molla fra lei e lui. Poco importava se tutto sarebbe precipitato a 1/3 dalla fine: i 2/3 restanti bastavano per far chiudere il libro e gettarlo nella spazzatura (o riporlo in un cassetto per chi non ama gettare i libri).

Bello, bravo e buono

Questo tipo di “storie” riguarda invece il sé del protagonista e di solito fa riferimento alla narrativa autobiografica. Nell’ultimo periodo ho letto numerose autobiografie, soprattutto per la collana che gestisco, e le ho accantonate tutte – tranne una, poi però la situazione si è aggravata, non per colpa dell’editore, e la pubblicazione è stata interrotta, ma di questo parleremo altrove.

Le ho accantonate, dicevo, per un motivo e uno solo: erano “agiografie”. Estremizzando il significato di questo termine, erano volte soltanto a deificare il soggetto dell’autobiografia (l’autore stesso), che si (auto)elevava a “santone” del XXI secolo.

Trattasi di storie caratterizzate dal continuo piacersi (e pascersi) dell’autore lo rendeva alla lunga noioso e antipatico, ma come potrebbe essere altrimenti se a ogni frase leggiamo che Mario è bravo a fare questo, è bravo a fare quello, ha un carattere che non se ne vedono in giro eccetera eccetera. In alcuni casi è presente una trama, in altri no.

Anche perché spesso sono persone come me e te, che non hanno fatto chissà cosa, quindi che scrivere oltre all’ordinario?

Conosci altri leitmotiv pallosi della narrativa odierna? Scrivimeli nei commenti!