Visto che siamo tutti confinati in casa, cosa c’è di meglio di un buon libro?

E di un libro che ti aiuta a migliorare la tua scrittura?

Ebbene, oggi ho deciso di regalarti un capitolo del mio Prontuario di editing.

Buona lettura!


Mostrare e raccontare

Se hai letto uno dei tanti manuali di scrittura creativa, avrai memorizzato questa regola: “Show, don’t tell!”

Annosa questione, quella del “mostra, non raccontare”. C’è chi si batte per show e chi per tell, come una guerra nucleare o una lunga guerra fredda.

Ma che cosa sono di preciso show e tell?

Show significa mostrare, tell raccontare.

Nella scrittura creativa, mostrare qualcosa vuol dire rendere visiva un’immagine, una descrizione; vuol dire esternare i personaggi e le loro emozioni come se fossero in carne e ossa. Raccontare, invece, è riportare le informazioni su carta, così come sono.

Non è un errore mostrare come non lo è raccontare: bisogna capire quando è necessario mostrare qualcosa e quando, invece, raccontarla.

In questo capitolo ti elencherò i casi in cui devi mostrare e non raccontare.

1. Controlla se hai mostrato le descrizioni

Le descrizioni piatte, fini a se stesse, non piacciono molto, ne abbiamo già parlato nella sezione a loro dedicata. Una descrizione deve essere fisica, deve contenere elementi dinamici, dettagli e, soprattutto, deve essere visiva. Il lettore la legge ma la vede anche davanti a sé. In questo caso si parla di mostrare.

Come ha scritto Cechov: “Non dirmi che la luna splende, mostrami il riflesso della sua luce nel vetro infranto”.

Non è semplice mostrare una descrizione, spesso sei spronato dal tarlo che ti costringe a scrivere, scrivere, scrivere e non presti troppa attenzione a quello che getti sulla carta — o sul PC. È normale che le tue descrizioni siano più raccontate.

Ti ho già fatto qualche esempio di descrizioni piatte. Permettimi adesso ti mostrarti (appunto!) delle descrizioni fisiche, visive.

La prima stanza emana un odore che non ha nome nel linguaggio, e che bisognerebbe chiamare odor di pensione: tanfo di rinchiuso, di muffa, di rancido; fa rabbrividire, è umido all’olfatto, penetra attraverso gli indumenti; ha il sentore di un locale in cui si sia mangiato; puzza di gabinetto, di cucina, d’ospizio di vecchi.

Questa è una descrizione tratta da “Papà Goriot” di Honoré De Balzac. Fa atmosfera, non ti sembra di sentire gli odori che permeano la stanza?

Prova a raccontarla:

La prima stanza ha un odore di chiuso, un misto tra odore di gabinetto, di cucine e di ospizio.

La descrizione è più snella, ma rende meno l’idea di com’è davvero la stanza.

Proseguendo nella narrazione, viene presentata la vedova Vauquer:

Essa cammina strascicando le ciabatte grinzose. Il viso vecchiotto, tondo, in mezzo al quale s’erge un naso a becco di pappagallo, le manine paffute, la persona grassoccia come un topo di chiesa, il seno troppo colmo e ballonzolante.

Diversa atmosfera avrebbe creato una descrizione raccontata:

Essa cammina strascicando le ciabatte. Ha un viso rotondo e il corpo grassoccio.

Il romanzo moderno è meno infarcito di descrizioni: si privilegia la velocità e l’azione rispetto a scene descrittive. In ogni caso, se c’è bisogno di descrizione, conviene sempre mostrarla.

Cerca di attingere ai cinque sensi per immergere il lettore nella tua storia.

Controlla i momenti descrittivi del tuo romanzo: sono troppo raccontati e andrebbero modificati per creare atmosfera? Se sì, riformulali.

2. Mostra le scene d’azione

Il mostrare non si trova solo nelle descrizioni.

Intere scene possono essere scritte mostrando che cosa sta succedendo, qual è la reazione e quali sono i sentimenti e le emozioni dei personaggi.

Il mostrato è necessario per le scene dove c’è suspense, forti emozioni, insomma, per tutte quelle scene dove è necessario attirare il lettore.

Le scene d’azione vanno mostrate. Se due personaggi stanno combattendo fra loro, non scrivere:

Mario lanciò una freccia contro Luigi, che la schivò e rispose con un affondo di spada.

O peggio:

Mario e Luigi combatterono un duello all’ultimo sangue.

Sono scene che non danno nulla. Devi essere più preciso.

Prendi come esempio le scene d’azione dei tuoi romanzi preferiti: come si svolgono? In poche righe o in molti paragrafi?

La scena d’azione deve essere più dettagliata e, se possibile, concitata, per dare un senso di attesa e ansia al lettore, che dovrà domandarsi: chi vincerà? Come andrà a finire?

Come esempio ti riporto una scena di battaglia tratta da “Il dio del deserto” di Wilbur Smith, a mio avviso un maestro nelle scene d’azione.

Feci partire il mio dardo un attimo prima che l’arabo scoccasse il suo. Lo colpii alla gola giusto in tempo per rovinargli il tiro. La sua freccia mancò Zaras e lui piombò in ginocchio, ghermendo la mia che gli spuntava dalla gola, il sangue brillante che gli zampillava dalla bocca spalancata.

Imperterrito, uno dei suoi compagni si avventò contro Zaras e, con la scimitarra tenuta ben alta, cercò di colpirlo alla testa. Con la spada Zaras gli spinse di lato la lama e poi sfruttò lo slancio dell’arabo per tranciargli il braccio all’altezza del gomito, di netto. L’uomo gridò e barcollò all’indietro, stringendosi il moncherino. Inciampò sul beduino inginocchiato, con la mia freccia conficcata nella gola. Caddero a terra insieme, in un groviglio di arti, ostacolando la carica dei compagni.

Controlla le scene d’azione del tuo libro. Sono mostrate e specifiche? O sei caduto nella banalità?

3. Mostra le scene di suspense

Come l’azione, anche la suspense va mostrata. Pensa ai libri horror: non c’è quel senso di apprensione che ti fa voltare le pagine ma che, allo stesso tempo, ti vorrebbe impedire di farlo per non scoprire qualcosa di spiacevole? Ecco, una buona scena di suspense dovrebbe essere così.

Le scene di suspense vanno allungate fino a quanto è possibile, proprio per instillare nel lettore un senso di timore, ansia.

Di recente ho letto “Intensity” di Dean Koontz. Lui è un maestro nell’allungare la suspense e nel farti girare le pagine per sapere come andrà avanti. Una scena di un minuto dura anche dieci pagine; il ritmo concitato e convulso viene attenuato dalle emozioni dei personaggi. Un mix tra velocità e lentezza.

Nel corridoio i passi si fermarono. Una porta si aprì.

Senza dubbio, era assurdo attribuire un sentimento di rabbia al semplice gesto di spalancare una porta. Il rumore secco del pomello che veniva girato, il raschio del chiavistello, il cigolio dei cardini non oliati… erano solo rumori, né calmi né irati, né colpevoli né innocenti, poteva averli provocati sia un prete sia un ladro. E tuttavia lei sapeva che si trattava di movimenti compiuti con rabbia.

Sdraiata sullo stomaco, strisciò sotto il letto, i piedi contro la testiera. Si trattava di un mobile di elegante fattura, dai solidi piedi torniti e fortunatamente piuttosto alti. Un paio di centimetri di spazio in meno e non le sarebbe stato possibile usarlo come nascondiglio.

Di nuovo rumore di passi nel corridoio.

Un’altra porta si aprì. Quella della camera per gli ospiti. Esattamente di fronte ai piedi del letto.

Qualcuno accese la luce.

Chyna era sdraiata con la testa girata di lato, l’orecchio destro premuto contro la moquette. Sbirciando da sotto il letto, riusciva a vedere gli stivali neri dell’uomo e le gambe dei blue jeans dal polpaccio in giù.

[…]

Un vago dubbio, frutto della tendenza all’autoanalisi che affligge tutti gli studenti di psicologia, le attraversò rapido la mente. Se l’uomo fermo sull’uscio era qualcuno che aveva tutti i diritti di stare in quella casa… Paul Templeton o il fratello di Laura, Jack, quello che viveva con la moglie nel villino del custode… e se era avvenuto qualcosa di grave che giustificasse quel suo irrompere nella camera senza prima bussare, nel momento in cui fosse uscita strisciando da sotto il letto, Chyna avrebbe fatto la figura della sciocca, se non addirittura dell’isterica.

Ma in quel momento, proprio davanti agli stivali neri, sulla moquette giallo scuro cadde una goccia rossa… poi un’altra, e un’altra ancora. Plop… plop… plop. Sangue. Le prime due vennero assorbite dallo spesso tessuto sintetico. La terza rimase in superficie, scintillante come un rubino.

Chyna sapeva che il sangue non apparteneva allo sconosciuto. Cercò di non pensare allo strumento affilato dal quale le gocce erano cadute.

L’uomo avanzò nella stanza, spostandosi a destra rispetto a Chyna e lei dovette girare gli occhi per riuscire a seguirlo.

La scena va ancora avanti per molto con questo ritmo. E il lettore è in balìa della penna di Koontz.

Non preoccuparti di allungare di qualche riga le tue scene di suspense: se fatte bene, coinvolgeranno il lettore. È meglio una scena lunga e dettagliata di una corta che passa inosservata.

Controlla le scene dove c’è suspense. È spiegata bene? È mostrata bene?

4. Mostra le scene con forti emozioni

Anche le scene con forti emozioni vanno mostrate e dettagliate. Per forti emozioni non intendo solo paura, morte, ma anche, ad esempio, l’amore.

Quanti bei libri ho letto, dove l’amore è un sentimento che si erge con prepotenza tra i personaggi quasi a diventare protagonista!

Se nel tuo romanzo l’amore tra due personaggi è forte o cambia radicalmente il loro modo di porsi, devi farlo capire al lettore. Devi mostrare come questo sentimento abbia soggiogato i tuoi protagonisti.

Mario ama Michela. Michela ama Mario.

Una bella equazione, sì. Ma è banale. Come Mario ama Michela? E come Michela ama Mario? Come l’amore si è imposto sulle loro vite?

Anche le scene erotiche vanno mostrate. E con questo non intendo scrivere passo dopo passo quello che succede tra Mario e Michela. Ci vuole sempre stile. Romanzi erotici con scene di sesso rozze, con termini scurrili e poco carini non sono belle da leggere ― a meno che la narrazione non sia in prima persona e il protagonista uno scaricatore di porto, ma comunque bisogna sempre rimanere nel limite.

Come esempio ti riporto la prima volta tra Marcus e Penelope, nel romanzo di Amabile Giusti, “Tentare di non amarti”.

Marcus tirò fuori un preservativo da un cassetto. Lo scartò coi denti, velocemente. Fece per indossarlo, ma Penny lo fermò.

«Posso farlo io?» gli domandò.

In quale parte di me stessa era nascosta questa creatura spudorata? Da quale romanzo, film o telenovela ho imparato tanta impudenza?

Lui annuì, e lei vide la sua gola che si contraeva deglutendo, come se guardasse accadere qualcosa di nuovo e di misterioso, anche se doveva essere la milionesima volta. Penny cercò di trattenere il tremore delle sue mani maldestre. Cercò di non sembrare una stupida, una che non lo ha fatto mai. Non lo aveva fatto mai, e si sentiva un po’ stupida, ma fu più brava del previsto.

Poi tornò a stendersi. Marcus la baciò ancora, baciava così bene che avrebbe potuto arrivare all’orgasmo solo con la sua lingua intrecciata alla propria. Quindi le strinse i fianchi, sollevandola un poco, ed entrò nel suo corpo.

Dopo un istante il piacere scomparve, sostituito da un dolore tagliente. Fu come se le avessero ferito la pelle con una lama di metallo arroventato. Avrebbe avuto tutto il diritto di urlargli: “Fermati, aspetta, fai piano, sono fatta di vetro”.

Però non lo disse. Emise solo un piccolo grido, che poteva essere scambiato per un verso appagato, e frenò le lacrime.

Marcus prese a muoversi con l’impeto di un uomo che non sta penetrando una vergine. Viaggiava dentro di lei, avanti e indietro, come un ariete inesorabile, e allo stesso tempo la baciava, le leccava la gola, le stringeva il seno, le serrava le cosce per farla inarcare. Penny teneva gli occhi aperti per vederlo: le sue braccia, il suo petto, il suo addome incollato al proprio, la sua chiave vivissima che la apriva per la prima volta nella vita.

5. Limita l’uso di aggettivi e avverbi

La sovrabbondanza di aggettivi e avverbi è tipica di un linguaggio raccontato che, però, non sempre riesce a catturare il lettore.

Faccio un breve esempio:

Quando Luca entrò in casa, trovò suo padre che lo attendeva sulla soglia della cucina, arrabbiato.

«Quante volte ti ho detto che non devi marinare la scuola?» gridò, furibondo.

Arrabbiato e furibondo sono due aggettivi che sì, ci dicono che il padre di Luca è arrabbiato, ma non ci trasmettono altro. In che modo il padre di Luca è arrabbiato? È arrabbiato tanto o è arrabbiato poco?

È necessaria qualche piccola modifica:

Quando Luca entrò in casa, trovò suo padre che lo attendeva sulla soglia della cucina con le braccia incrociate. «Quante volte ti ho detto che non devi marinare la scuola?» gridò.

In questo caso, all’aggettivo “arrabbiato” ho sostituito con un’azione del padre di Luca: ha le braccia incrociate. In questo modo viene resa di più l’idea del suo atteggiamento. Inoltre l’aggettivo “furibondo” è superfluo, essendoci già il verbo “gridare”, che dà già l’idea di una persona alterata.

Si può fare di più e di meglio, ovviamente, mostrando come il padre è arrabbiato.

E se invece di scrivere che lo aspetta sulla soglia della cucina a braccia incrociate mettessimo che gli dà un bello schiaffone?

La prima cosa che Luca sentì appena entrò in casa furono le cinque dita di suo padre che gli colpivano la faccia e i calli che gli sfregiavano la pelle come le setole dure e secche di un pennello.

Non devi estirpare ogni aggettivo dal tuo libro; è bene, però, nei casi in cui è possibile, sostituire l’aggettivo con una frase più visiva.

La stessa cosa si può (e si deve!) fare per gli avverbi. In qualsiasi manuale di scrittura creativa troverai una vera e propria crociata contro gli avverbi. Stephen King è perentorio: “Io credo che la via per l’inferno sia lastricata di avverbi e sono pronto a salire sui tetti per gridarlo a tutti”.

In effetti l’uso abbondante di avverbi appesantisce la narrazione, come noterai in questo esempio:

Mario uscì di casa e osservò attentamente il marciapiede davanti a lui. Non c’era nessuno. Iniziò a camminare lentamente, guardandosi intorno. Il vento gli accarezzava dolcemente i capelli.

Questo capoverso è noioso e non ci racconta nulla. Inoltre due avverbi sono superflui: attentamente e dolcemente. Osservare dà già l’idea di guardare con attenzione, e accarezzare dà già l’idea di dolcezza.

Anche modificando la frase come nell’esempio che viene, non cambia molto:

Mario uscì di casa e osservò con attenzione il marciapiede davanti a lui. Non c’era nessuno. Iniziò a camminare con lentezza, guardandosi intorno. Il vento gli accarezzava con dolcezza i capelli.

Okay, hai tolto gli avverbi, e allora? Il capoverso resta noioso. Prova a renderlo più incisivo.

Mario uscì di casa. Voltò la testa a destra e a sinistra, i piedi ancorati al gradino non volevano saperne di muoversi. Il marciapiede era una solitaria lingua grigia che si allungava e spariva nella nebbia di quel mattino di novembre. Mario mosse prima un piede, poi l’altro, le suole che sfioravano l’asfalto come se avessero paura di toccarlo. I suoi occhi scrutavano alla ricerca di un qualsiasi movimento sospetto. Il vento gli accarezzava i capelli.

Controlla aggettivi e avverbi della tua storia: sono superflui? Puoi riscrivere la frase diversamente? Non avere paura di modificare interi paragrafi o allungarli: se questo ti serve a rendere il tuo libro più visivo, più d’impatto, più mostrato, ben venga!

6. Che cosa devi fare

  1. Analizza ogni descrizione. È piatta? Non evoca nulla? Riscrivila per darvi più fisicità.
  2. Controlla le scene d’azione. Sono dettagliate? Invogliano il lettore a domandarsi: “Che cosa succederà?”
  3. Controlla le scene di suspense. Sono lunghe a sufficienza? La tensione si sente?
  4. Controlla le scene con forti emozioni, come amore, sesso. Sono scritte bene? Trasmettono qualcosa al lettore?
  5. Cerca ogni aggettivo e ogni avverbio. Puoi sostituirli con un termine, una frase più incisivi? In quel caso eliminali.