Parole a tu per tu è la nuova rubrica letteraria dedicata ad autori e autrici, vecchi e nuovi, famosi ed emergenti. Mi piaceva dar voce a tanti autori e autrici che magari hanno meno spazio in giro per il web, oppure ne hanno già ma un coin in più non poteva che far loro bene… e così ho ideato questa nuova rubrica, in collaborazione con il Collettivo Scrittori Uniti. Sarà a cadenza settimanale, escludendo agosto.

La nostra ospite, oggi, è Iana Pannizzo, autrice, tra l’altro, del recente Per amore di Margot.

Ciao, Iana! Spero tu stia bene. Ti ringrazio di aver acconsentito a questa breve intervista. Iniziamo con una domanda semplice semplice e magari banalotta: da quanto scrivi? Da cosa è nata questa passione?

Ciao Emanuela, sono io che ringrazio te per avermi dato l’occasione di parlare dei miei romanzi. Scrivo da quando ero adolescente. Avevo quindici anni quando scrissi il mio primo lungo racconto che allora intitolai “Quella Casa”. Era di genere gotico. Qualche tempo fa, cercando alcune foto, mi è capitato di rileggerlo. Ovviamente era una scrittura parecchio acerba. Non so da dove sia nata questa passione, probabilmente dai molti libri letti sin dalla tenera età. Allora, come adesso del resto, non avevo molti amici, così la lettura finisce per farti compagnia, evadere dalla realtà e sognare. Da ragazzina amavo leggere Stephen King.

Il romanzo che presenti sul mio blog, Per amore di Margot, affronta un tema difficile: l’elaborazione del lutto. È un argomento che non tutti sentono di poter affrontare? Com’è stato per te?

Questo romanzo nasce dopo la perdita dei miei genitori. Purtroppo non sono il tipo di persona che si abbandona alle lacrime, ma mi sono resa conto che in qualche modo dovevo incanalare questo dolore in qualcosa che mi avrebbe permesso di sfogare tutta l’amarezza. Ovviamente non parla di me e dei miei genitori, ho preferito metabolizzare il lutto attraverso personaggi che si potessero identificare con il lettore. C’è Ugo, ma anche Dalila e Basilio. Tutti e tre hanno perso il loro amore più importante ma ognuno reagisce in maniera diversa. Ci sono diverse filosofie di pensiero tra i personaggi. Lo scopo del romanzo è quello di indurre il lettore a porsi delle domande, a riflettere sui valori della vita, ma non solo. Vedi, quando perdiamo qualcuno è troppo facile che gli altri ci dicano che il tempo lenisce tutte le ferite, che il dolore passerà con gli anni. Quello che non capisce la gente è che molte persone vanno davvero aiutate, che restano ferme e non vanno più avanti. Certi dolori hanno bisogno di essere sfogati, urlati, ma si ha paura e così all’improvviso colui che soffre diventa “l’alieno” con i quale ci si sente a disagio. Ed ecco perché è un argomento che non tutti sentono di poter affrontare. Perché si ha paura di guardarsi dentro.

Ci lasci un estratto del romanzo, così che il lettore possa leggerlo?

Certamente. Scelgo questo estratto perché in questo capitolo due persone che hanno subito la stessa perdita, la persona amata, hanno pensieri e reazioni diverse.

Ugo se ne stava seduto in silenzio sul bordo di una sedia a sdraio che aveva tirato fuori da un capannone. Stava pensando alla sua Margot da qualche parte in un universo parallelo. Aveva sparso le sue ceneri sperando in una sua apparizione ma lei non si era palesata neanche in sogno. Gli sembrava di impazzire. Voleva rivederla a tutti i costi. Dove si trovava adesso? Gli mancava come l’aria. Dalila, che era rimasta fuori ad aspettare che Antonio andasse via con la sua barca solo per seguirlo con lo sguardo, decise di fargli compagnia. Prese anche lei una sedia dal capannone e si sedette. Aveva la schiena sempre più dolorante e le gambe gonfie. Chiuse gli occhi per un istante.

– Mi dispiace che tu stia così male, Ugo. Io posso capirti. Anche se sono passati molti anni, mio marito mi manca come il primo giorno. Ma non fare il mio stesso errore, non smettere di vivere per rincorrere un ricordo.

– Esiste il paradiso, Dalila? Esiste Dio?

– Non lo so. Paradiso e inferno sono proiezioni della nostra mente, Ugo. Si forma tutto nella nostra testa e ci appigliamo a qualsiasi cosa pur di non perdere il contatto con chi ci ha lasciato. Quando ho perso mio marito avrei voluto morire anch’io. Ho pensato tante volte di togliermi la vita per non soffrire più, che non ci fosse più ragione di vivere. Ma sono ancora qui. Il richiamo della vita è stato più forte. Sono stata una vigliacca? Non lo so. Quel che so è che ho smesso di vivere e non ho più conosciuto l’amore da quando sono rimasta vedova.

– Non ne avevo idea, Dalila. Mi dispiace tanto.

– Non devi dispiacerti. Le cose brutte accadono. La vita prende e la vita dà. Si gioisce e si piange e tu devi solo accettare il tuo destino perché non ci puoi fare niente.

Dalila chiuse gli occhi e rivide sé stessa il giorno del suo matrimonio, con l’abito bianco lungo e stretto in vita, i lunghi capelli biondi raccolti in uno chignon. Rivide suo marito bello come il sole e tutti gli invitati sorridenti che applaudivano fuori dalla chiesa. Gli invitati, la funzione, gli anelli e i chicchi di riso fuori dalla chiesa. Era un giorno di primavera e lei sorrideva ignara del destino avverso che si sarebbe abbattuto su di lei come un tornado che tutto distrugge e porta via.

– Mi chiedi se esiste Dio. Non lo so. La fede l’ho perduta molti anni fa. Ho sempre cercato delle risposte senza mai trovarle. La vita è ingiusta, Ugo ma noi dobbiamo vivere ugualmente.

– Cosa dovrei fare secondo te? Lasciarmi alle spalle Margot?

– Margot sarà sempre una parte di te e non smetterà mai di esserlo. Con il tempo diventerà un ricordo tenero, sarà la proiezione della tua malinconia nei gesti quotidiani. Tu sei ancora giovane, Ugo. Non sprecare la possibilità di essere nuovamente felice.

Ugo pensò a Fernanda e come quella notte se n’era andato via come un ladro. Per un attimo provò vergogna per il suo comportamento.

– Negli ultimi mesi ho conosciuto una donna, ma non è la stessa cosa, non è la mia Margot.

– È naturale. Nessuna mai sarà Margot.

Dalila si girò in direzione dell’albergo e si accorse che Antonio era andato via. Non aveva fatto caso alla sua barca che si allontanava verso la sponda opposta del lago. Si rammaricò per questo. Si strinse ancora di più nella sciarpa. Una coltre spessa di nebbia nascondeva le montagne. Si alzò e rimise a posto la sedia a sdraio.

– Datti la possibilità di vivere ancora, Ugo. Non fare il mio stesso sbaglio.

Per amore di Margot non è il primo romanzo che hai pubblicato. Ho trovato interessante anche Storie dell’altra favola. Di retelling ce ne sono tantissimi (oserei dire ahimè): cosa ti ha spinto a metterti in gioco anche in questo caso?

Ho sempre amato le favole, ma volevo spezzare il cliché del bello, buono e simpatico a tutti i costi. E cosa c’è di meglio di una principessa o dell’innocente cappuccetto rosso, che tra l’altro è la mia favola preferita. Ho umanizzato i personaggi e storpiato le favole perché come lessi qualche tempo fa, siamo tutti buoni o cattivi, dipende chi scrive la favola. Niente di più vero. In questi cinque racconti, cappuccetto rosso non è certo una bambina e neanche così innocente così come la bella Biancaneve. Sono storie a sfondo psicologico che prendono in esame il potenziale aggressivo che vive in ognuno di noi, perché noi vogliamo essere sempre i buoni ma spesso non lo siamo e dobbiamo rendercene conto.

Come scrittrice, hai particolari routine che vuoi condividere con noi?

Nessuna routine particolare. Di solito, quando rimango da sola a casa mi preparo una bella tazza di caffè e comincio ad ascoltare la musica adatta che potrebbe ispirarmi. Mi preparo una scaletta con degli argomenti da sviluppare e traccio i lineamenti fisici dei personaggi. Scrivo in inverno perché in estate mi dedico alla lettura e soprattutto alle mie figlie che sono in vacanza. Prendo degli appunti però e faccio molte ricerche. Il prossimo romanzo sarà nuovamente a sfondo gotico.

Tutti i tuoi romanzi sono autopubblicati. Che cosa pensi dell’autopubblicazione italiana del 2023? Sei stata anche nell’area Self del recente Salone del Libro. Che esperienza è stata?

Il self publishing sta prendendo una piega vertiginosa tra gli autori. Se da un lato credo sia un bene per chi, come me, realizza il sogno di vedere il proprio romanzo pubblicato, dall’altro forse ci si dovrebbe concentrare di più su prodotti che abbiano davvero qualcosa da dire. Troviamo davvero di tutto. Per fortuna ci sono anche storie interessanti ed autori davvero molto bravi.

Quella del Salone del Libro 2023 è stata un’esperienza molto utile dal mio punto di vista e non finirò mai di ringraziare il Collettivo Scrittori Uniti per avermi dato l’opportunità di parteciparvi.  Ho conosciuto molti autori simpatici ma anche pronti a tutto pur di vendere il loro libro e mettersi in mostra. Andare al Salone comunque è una crescita personale e anche se vendi poche copie va bene lo stesso. Prendi coscienza della gente, della tipologia del lettore, impari a proporti, a rapportarti anche con gli altri autori così diversi da te, a chiederti infine, perché continui a scrivere, a crederci nonostante le delusioni. Io mi sono posta la domanda parecchie volte e tutte le volte non ho trovato che una sola risposta: scrivo perché ho qualcosa da dire.