Questo racconto ha origine da un sogno… uno sprazzo di sogno, in realtà.
Ho sognato di un violento acquazzone che si abbatteva sul mio paese e che causava disastrose conseguenze. Forse la paura dell’acqua, che quando cade in certi modi fa danni, forse chissà…
Da lì l’immaginazione si è lanciata di corsa, ed è nato “Buia fu la notte”.
Un racconto horror, non splatter, nemmeno troppo spaventoso, ma che si fonda su un’unica domanda: cosa accadrebbe se…
Uscirà il 29 luglio, ed è in pre-ordine a soli 99 cent su Amazon.
Qui sotto troverai la trama e un’anteprima: spero ti piacciano e che ci farai un pensierino 🙂
Una giornata iniziata come le altre si trasforma ben presto in un incubo.
Il sole sembra scomparso, l’aria puzza di stantio e gli abitanti di un piccolo borgo iniziano a ricevere strane visite, che ben presto li faranno piombare in un abisso di sconcerto e terrore.
Solo alcuni si bloccheranno sul precipizio e tenteranno di sfidare qualcosa più grande di loro.
Con l’unica certezza: in questa buia notte, anche un abbraccio può essere letale.
Avvisaglie
Iniziò un mattino.
Sembrava una giornata come tante altre, per Debora: sveglia alle sei, colazione veloce e corriera alle sei e quarantacinque. Mezz’ora di tragitto, capatina dal panificio per un euro di focaccia calda e attesa che suonasse la campanella fino alle sette e cinquanta.
E invece quella mattina la corriera non arrivò.
Pioveva come se qualcuno cacciasse catini d’acqua dal cielo, e il vento soffiava così forte da farti attaccare all’ombrello per evitare che volasse via.
Poi, com’era arrivata, la pioggia cessò, e lì iniziarono le stranezze.
Alle sei e mezza avrebbe dovuto già albeggiare, ma quel giorno una coperta antracite si posò sul cielo. E l’aria prese a puzzare di marcio, come foglie bagnate lasciate a macerare sotto il sole.
Debora inviò un messaggio WhatsApp all’amica Ilaria dicendole che quasi sicuramente quel giorno avrebbe tardato, poi si appoggiò alla pensilina e sbuffò.
Alle sette e cinque ancora nessuna notizia della corriera, e nemmeno Ilaria aveva risposto. Debora pensò di chiamare la madre e dirle che non sarebbe andata a scuola, quel giorno, ma sapeva che le avrebbe detto di aspettare almeno fino alle sette e mezza, e semmai sarebbe entrata un’ora dopo.
Così aspettò.
E aspettò.
Ma la corriera quel giorno non venne.
E il cielo non la smetteva di essere coperto da quella coltre scura come una lavagna.
***
La sveglia suonò alle sette. Una mano si attaccò al mobile, cercandola a testoni. La urtò e questa cadde per terra continuando a suonare. Reprimendo un “vaffanculo”, Riccardo la raccattò dal pavimento e la spense, poi la posò sul mobiletto. Rimase per qualche istante a fissare l’armadio davanti a sé.
Qualcosa non andava.
Si sollevò sui gomiti e lanciò un’occhiata alla sveglia.
Sette e cinque.
Lo sguardo corse alla finestra.
Di solito a quell’ora una lieve luce bucava le fessure delle persiane, ma quel giorno intravedeva solamente il profilo squadrato dei mobili.
Sì, qualcosa non andava.
In pochi passi fu in cucina e aprì la portafinestra che dava sul balcone. Una tenda di oscurità lo accolse, come se fosse mezzanotte e pesanti nuvole coprissero il cielo. Alzò gli occhi. Né nuvole, né stelle, luna o altro. Non c’era nulla.
Il cielo era nero, liscio e piatto come un monitor.
Poi sentì l’odore.
Qualcosa di guasto, come cibo avariato.
Riccardo storse il naso e tornò a fissare il cielo.
Non gli piaceva. Per niente.
***
«Giorno buio, sventure alla porta.»
Alberto picchiettava il bastone di legno sulle mattonelle del balcone, lo sguardo ora sulla strada ora al cielo.
Aveva fatto i turni all’Ansaldo per una vita, e spesso lavorava di notte. Non era raro, quindi, che rimanesse sveglio a lungo o si svegliasse presto. Quella mattina erano le quattro e quarantacinque. La pioggia batteva contro i vetri e il vento vi picchiava contro. Alberto si era preparato il solito caffè con grappa e aveva aspettato che albeggiasse, come sempre in piedi davanti alla finestra. Da qualche mese una volpe si avventurava nell’orto davanti a casa e lui aveva preso il divertimento di scrutarla senza farsi vedere.
Ma quel giorno continuava a fare buio, ed erano ormai quasi le dieci.
E in più l’aria puzzava peggio che carne frollata male.
«Giorno buio, sventure alla porta» ripeté.
E alla porta bussarono davvero.
Tre colpetti leggeri, quasi timidi, ma Alberto li sentì bene. A passi strascicati si avvicinò all’ingresso.
Era Luisa, la donnina che abitava nell’appartamento accanto al suo. Lo squadrò con occhi enormi e il labbro tremante.
Lui non poté nemmeno chiederle che cosa non andasse che lei gli afferrò un braccio.
«È tornato mio marito» sussurrò.
Alberto la guardò a bocca aperta.
Suo marito era morto sette anni prima.
***
Iniziò così la lunga notte.
Se gli abitanti di Valpiana lo avessero saputo, forse si sarebbero preparati anzitempo.
Invece li colse tutti di una sorpresa che ben presto fece spazio allo sgomento, per cedere infine il posto all’orrore vero e proprio.
Ma questo sarebbe accaduto solo più tardi.