Un capolavoro delle distopie novecentesche, un romanzo dall’inesausta forza profetica. Incubi e ossessioni che prendono corpo nei disegni di un grande illustratore.

“Ma io non ne voglio di comodità. Io voglio Dio, voglio la poesia, voglio il pericolo reale, voglio la libertà, voglio la bontà. Voglio il peccato.”

“Insomma,” disse Mustafà Mond “lei reclama il diritto di essere infelice.”

“Ebbene sì,” disse il Selvaggio in tono di sfida “io reclamo il diritto d’essere infelice.”

Questo capolavoro del Novecento è stato scritto poco prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale, e ci narra di un mondo, come per tutte le distopie, davvero angosciante.

Ammetto che non lo conoscevo prima che la Mondadori lo ripubblicasse in una versione illustrata, e mi stavo perdendo uno dei romanzi più belli mai letti in questo periodo (e forse, oso esagerare, uno dei romanzi più belli mai scritti nel Novecento).

La trama è semplice quanto complessa: Huxley ci narra di un mondo (il mondo nuovo, appunto), sorto sulle ceneri del vecchio, che si intuisce sia stato il nostro. Un mondo dove regna l’era di Ford, e dove una tecnologia molto avanzata (soprattutto per l’epoca in cui è stato scritto) inquadra la vita degli esseri umani.

Esseri umani… sì, potrei definirli così, ma in realtà sono soltanto creazioni extrauterine che vengono prodotte (come il modello di Ford T applicato in ogni settore) in serie, come oggetti. Non hanno famiglia: i concetti di madre e padre sono considerati barbarie, e se pronunciati vengono visti come una blasfemia.

Non pensiamo però che queste “non-persone” siano insoddisfatte; anzi, la loro vista si svolge in una tranquillità fatta di lavoro, al quale ognuno viene “educato” sin dalla tenera età, di svago sessuale e di soma, una vera e propria droga che tiene sotto controllo la civiltà. Ogni persona appartiene a una casta, da quella più elevata a quella di basso rango e destinata a fare i lavori più umili.

Accanto a questo mondo futuristico e direi spaventoso, troviamo aree non civilizzate, e da lì proviene John, chiamato per l’appunto il Selvaggio. Nato da un padre e una madre, arriva nel mondo nuovo grazie all’intermediazione di Bernard, uno dei protagonisti, che visita questa “riserva” insieme a un’amica.

Il Selvaggio rimane subito spiazzato dalla vita nel mondo nuovo, fino alla drammatica conclusione.

Ehi, dico,” esclamò Helmholtz, premuroso “mi sembri sofferente, John!”

“Hai mangiato qualche cosa che ti ha fatto male?” indagò Bernard.

Il Selvaggio fece cenno di sì. “Ho mangiato la civiltà.”

Ed è proprio su questo contrasto, fra il mondo civilizzato e quello pre-moderno, che si fonda il romanzo. John prova un misto di attrazione e repulsione nei confronti dell’era Ford, e non servono le sue citazioni shakesperiane per dissipare l’angoscia che lo coinvolge sempre di più a mano a mano che passano i giorni trascorsi nel mondo nuovo: egli è diverso, si sente diverso e alla fine vuole essere diverso, proclamando il diritto “di essere infelice”.

“Il mondo nuovo” ci racconta di una vita in cui tutte le persone sembrano essere felici; insomma, in apparenza sembra che il mondo costruito dall’autore sia una sorta di utopia. In verità non è così, perché fin da quando sono embrioni le persone vengono educate a quello che sarà il loro compito nella società, e il soma somministrato loro quotidianamente li rende del tutto soggiogati al sistema. Non può mancare poi il controllo repressivo: chiunque si discosti dalla massa, viene punito.

Un romanzo che ci dà costantemente spunti di riflessione, soprattutto se paragoniamo l’universo creato da Huxley con la nostra società. Siamo anche noi incapsulati in una vita già scritta da altri? E chi non segue le “mode” e il comun sentire non viene forse etichettato come qualcosa di diverso, e pertanto emarginato?

L’autore, sebbene in alcuni casi sia stato molto futuristico e abbia parlato di elementi che, spero, ancora non si sono realizzati, in altri casi ha descritto perfettamente la società, non tanto dell’epoca ma attuale.

A pensarci vengono i brividi, e forse più di uno chiederà il diritto di essere infelice.