In tanti hanno accolto l’estro creativo scaturito dal mio post (che trovi qui), e mi hanno dato il consenso a pubblicare il loro racconto.

Oggi diamo la voce a Enrico Mattiazzi.

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David era abituato a svegliarsi presto, tuttavia quando prese in mano il suo smartphone vide che erano quasi le dieci. In effetti, la sera prima avevano fatto tardi, di nuovo. Tutte le sere c’era una scusa buona per fare baldoria fino a tardi. Jack, il suo amico e compagno di avventura, non si tirava mai indietro, non rinunciava mai a un brindisi con qualche sconosciuta e finiva sempre per ingurgitare una quantità di alcool spropositata. David sapeva contenersi: sapeva divertirsi senza esagerare, non sopportava i postumi della sbornia.
Scese dal letto e si avviò in cucina: cercò di fare piano, sicuramente Jack aveva bisogno di dormire ancora. C’era uno strano silenzio nell’aria, ma non gli diede molta importanza. Un buon caffè, cereali integrali, latte vegetale e in dieci minuti David aveva nuovamente un ottimo livello di energia. Tuttavia, non riusciva a rilassarsi, aveva una strana sensazione che aleggiava in tutto l’appartamento, e anche dentro di lui.
Senza un motivo preciso e seguendo solo l’istinto ritornò in camera: il letto di Jack era vuoto. E c’era tanto, troppo silenzio. Si affacciò dal terrazzo, dal quale si ammirava in lontananza lo splendido lungomare: deserto. Rimase stordito e per un attimo pensò di essere ancora addormentato. Era estate, una splendida località balneare, la sera prima avevano conosciuto decine di persone: dove diavolo erano finiti tutti?
Fece un rapido controllo delle sue facoltà mentali, poi passò alle capacità fisiche di base: capì che non stava dormendo, era lì, era lucido. Era solo, completamente.
David si vestì in fretta, corse giù per le scale e si avviò verso la spiaggia. Nessuna auto. Nessuno nei negozi. Niente. Tutto immobile e deserto. Quello che provava era difficilmente spiegabile: era oltre il panico, era una sensazione primordiale che arriva direttamente dal suo cervello primitivo. Semplicemente incontrollabile.
Tutto era come sospeso, fermo, immobile, presente ma abbandonato. Tutto in ordine, tutto ben sistemato, pulito. Mancava solamente una cosa: l’essere umano.
Il silenzio era interrotto solamente dal rumore delicato del mare, che si estendeva e si ritirava sulla lunga spiaggia di sabbia. Un moto perpetuo, senza interruzioni, senza disturbi.
David si sentì richiamato verso la spiaggia, oramai aveva affidato ogni sua azione e ogni sua decisione solamente all’istinto. La realtà che stava vivendo era completamente sconosciuta alla sua neocorteccia, non aveva strumenti per valutare e ragionare. Era come se fosse nato in quel momento.
Si avviò lentamente verso la spiaggia, ombrelloni e lettini completamente chiusi, disposti in file perfette. Tranne uno. L’ultimo verso il mare. Il lettino era aperto e sembrava che sopra ci fosse un mucchio di vestiti buttato a caso. David era lontano, era senza occhiali (li aveva dimenticati uscendo di fretta) per cui decise di avvicinarsi.
Non sentiva la sabbia dato che aveva scarpe, un’altra anomalia di quella giornata iniziata in maniera a dir poco allucinante: di solito aveva gli infradito oppure era a piedi nudi e si godeva il tepore salire dalle piante dei piedi. Di solito, infatti. Non oggi.
Man mano che si avvicinava, quello che aveva erroneamente etichettato essere un cumulo di vestiti si stava rivelando per ciò che realmente era: il cuore di David iniziò a pompare sangue, l’adrenalina salì al massimo quando riconobbe una donna seduta, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani sul volto. Stava piangendo e singhiozzava vistosamente. Ma almeno era un essere umano.
Lei non lo sentì arrivare, lo percepì quando oramai David fu al suo fianco. Alzò gli occhi verso di lui: lo sguardo era disperato, gli occhi gonfi, probabilmente non c’erano più lacrime da versare.
Si alzò di scatto e gli buttò le braccia al collo. David rimase impietrito, poi percepì chiaramente che lei aveva bisogno di aggrapparsi a qualcuno per ritrovare un minimo di lucidità.
Quando si staccò, la ragazza aveva smesso di piangere. Lo fissò negli occhi e gli parlò velocemente: “Dimmi che non è vero, dimmi che non lo hai fatto davvero”.
David non riuscì a capire, non riusciva a collegare. Eppure, quella ragazza aveva qualcosa di familiare, qualcosa che lui sentiva di conoscere. Non le sembrava un’estranea. È vero, poteva essere confuso dalla situazione, ma gli sembrava di conoscerla.
Decise per la tecnica migliore in ogni occasione: domandare. Chi domanda, comanda.
“Come ti chiami?” le chiese.
Lei si allontanò leggermente, socchiuse gli occhi come in segno di sfida, riposizionò la testa come per cambiare punto di vista, per verificare che non le fosse sfuggito nulla.
“David, mi hai fatto la stessa domanda poche ore fa, fuori dall’Eagle Pub prima di baciarmi e…”
Solo allora David la riconobbe. Forse si chiamava Elisa. Sì, era Elisa. Aveva addosso gli stessi vestiti della sera prima ma erano stropicciati, sporchi.
Il sole creava sul suo viso dei riflessi totalmente diversi da quelli generati dalla flebile luce delle luminarie fuori dal pub. Per quello non l’aveva riconosciuta subito. Era comunque bellissima.
Adesso iniziava a ricordare… ma non era possibile. Scelse di nuovo un approccio sicuro: usa sempre il nome del tuo interlocutore, è il suono che ama di più.
“Elisa… sei tu, ma… i vestiti… Cosa ci fai qui da sola, cosa è successo…”
Lei lo interruppe: “David… tu mi hai detto che ero bellissima, che non ne potevi più di quel frastuono e di tutta quella gente e che avresti voluto passare un’intera giornata solo con me, in pace, a chiacchierare e goderci il mare. Senza che NESSUNO ci disturbasse. Ecco, sei contento adesso?”
Il ricordo di quella frase, buttata lì in un momento di euforia dato dall’ennesima splendida ragazza conquistata, lo colpì forte al petto.
Non poteva essere vero. Non poteva essere reale. Succedeva solo nei film di fantascienza…
Iniziò a girargli la testa, si guardò intorno e continuò a vedere solo deserto. Poi tutto iniziò a sbiadire, piano piano sparirono i colori, tutto si spense, si rabbuiò.
David aprì gli occhi di scatto e si tirò su dal letto. Prese lo smartphone e guardò l’ora: quasi le dieci. Jack russava così forte da coprire il rumore del traffico che entrava dalla finestra del salone, quella che dava sul terrazzo. Jack doveva aver fumato un’ultima sigaretta e doveva aver dimenticato la finestra aperta, la sera prima.
David era sudato fradicio, non per il caldo certamente. Era per il sogno. Era stato un sogno, fortunatamente.
Elisa.
Lei era esistita davvero. Se la ricordava. Bella, intelligente, intraprendente.
Le aveva promesso che si sarebbero rivisti. E non aveva alcuna intenzione di mancare quella promessa.

Il benessere, la detossinazione e l’aloe vera.

Una sera di oltre sei anni fa, mia moglie Emanuela entrò in casa con due pacchi di cui ignoravo il contenuto.

Li ripose sul tavolino, mi guardò e mi disse: “Da domani, facciamo questo programma di detossinazione”.

Io, che amo gli sport estremi ma non così tanto da contraddirla, ho accettato. Ricordo che ero appena tornato da un terribile viaggio di lavoro in Cina. Un viaggio che non avrei voluto fare ma che ringrazio di aver fatto, perché mi ha aiutato a dire basta a una situazione che non sopportavo più. Ero stanco, stressato e stavo smaltendo una delle più intense influenze della mia vita.

Presi il pacco, lo aprii e mi ritrovai tra la mani come prima cosa due bottiglie gialle, con una scritta chiara ed evidente: gel puro di aloe vera.

Io e mia moglie, a quei tempi, sapevamo nulla di detossinazione e dei benefici di un percorso detox e ancora meno delle straordinarie proprietà dell’aloe. Una sua cara amica gliene aveva parlato e, dato che ci fidavamo di lei, lo provammo.

Negli ultimi sei anni è stata una delle decisioni più brillanti e significative che abbia mai preso.

Durante il mio primo percorso ho raggiunto un livello di energia e lucidità che non avevo mai provato prima, ho migliorato il mio aspetto e regolarizzato il mio peso. E le prestazioni sportive sono migliorate decisamente.

Da allora ho goduto (e godo tutt’oggi) dei benefici della detossinazione, ho amato l’aloe vera gel e, bevendola ogni giorno, ho trasformato il mio stile di vita. 

Potevo tenere tutto questo solo per me? Assolutamente no!
Essendo curioso e intraprendente per scelta, ho scoperto che l’azienda che produce questo straordinario prodotto (da oltre quarantatré anni), lo distribuisce solamente tramite i propri “clienti soddisfatti”, che possono diventare incaricati indipendenti (tutelati dalla Legge 173/2005) e ai quali paga una ricca commissione per fare “passa parola” professionale. 

Cioè, l’azienda mi avrebbe pagato se avessi condiviso i benefici dei prodotti con altre persone, aiutandole a stare meglio? Era assolutamente ciò che stavo cercando e che vibrava con le mie corde!

Ho scoperto, poi, che si chiama Network Marketing (o Multi level marketing), che gode di una pessima fama grazie ai soliti furbetti e che… è un’attività imprenditoriale straordinaria, meritocratica, ricca di opportunità e senza alcun rischio. Che adoro e che condivido con chi vuole davvero fare qualcosa di straordinario per se e per gli altri.

Ecco, quindi: oggi sono un ingegnere, un networker, un promotore di stili di vita sani e di benessere, e supporto tantissime persone a stare meglio, vedersi meglio e, se lo desiderano, a iniziare un’attività in proprio senza rischi!

Cosa potresti volere di più?