In tanti hanno accolto l’estro creativo scaturito dal mio post (che trovi qui), e mi hanno dato il consenso a pubblicare il loro racconto.
Oggi diamo voce a Gianluigi Redaelli.
Se vuoi leggere il racconto precedente clicca qui.
“Sesto senso” – Quel giorno che incontrai Luciano Bianciardi
Quel giorno stavo malissimo. Avevo appena visto quella che credevo fosse la mia ragazza baciarsi appassionatamente nel buio di un androne, con un altro. A casa si era consumato l’ennesimo scazzo con mio padre, ogni giorno più freddo e taciturno, da quando eravamo rimasti soli a Milano, con il nostro rapporto sempre più difficile.
Mia madre e mio fratello se la sguazzavano in quel di Santa Margherita Ligure, non senza scordarsi di farci quotidiane telefonate con la raccomandazione di andare d’accordo, per non farli stare “troppo in pensiero!”.
Io, dal canto mio, ero appena tornato dal servizio militare e avevo avuto la sorpresa di non trovare più la “mia Impresa”. O meglio l’Impresa Edile, dove ero impiegato, dove credevo di ritrovare il mio posto, date le sperticate assicurazioni in proposito del Mio Datore di Lavoro, (all’atto della partenza, con mille salamelecchi, per quel dovere che mi faceva tanto onore).
Semplicemente non c’era più. Aveva chiuso i battenti: la crisi. Figuriamoci la mia! Erano giorni ormai che rispondevo a tutte le inserzioni di possibili offerte di lavoro, ma più che colloqui, test cretini e bravo, bravo, le faremo sapere non si concretizzava nulla.
Solo il rimbrotto, sempre meno soft, di mio padre. A tutto questo bisogna aggiungere che quell’estate in città il caldo era soffocante.
Eppure, quel giorno, tra un tentativo e l’altro di trovare la cosa giusta da fare, dopo aver inutilmente cercato qualcuno degli amici più fidati, sempre più annoiato e abbuttato, come diceva un mio amico siculo, fu certamente una specie di sesto senso a guidarmi in via Manzoni dalle parti della Libreria Feltrinelli.
Ma che ci entro a fare mi stavo dicendo combattuto se varcare o no la soglia, dal momento che non ho una lira, ed ecco che arriva una splendida fanciulla in minigonna mozzafiato, che si attarda un attimo prima di entrare, e incredibile!, mi guarda e mi sorride.
Un brivido lungo la schiena, che mi abbia scambiato per un altro?, comunque non ci penso più di tanto e come in trance mi affretto a entrare sulla scia di quella incredibile apparizione.
La libreria è piuttosto affollata, molti giovani fanno capannello in un angolo, mi avvicino, scorgo la mia “musa”, mi sforzo di fissarla per catturarne l’attenzione, ma quella non mi degna più di uno sguardo, sarà la solita femminista che si diverte a provocare cerco di consolarmi, mentre il mio interesse cade sull’individuo, non giovanissimo, che sembra essere al centro della curiosità generale.
Mi sembra un viso conosciuto, ma solo dopo molti sforzi di memoria e quando finalmente uno lo chiama Luciano, realizzo che si tratta di Luciano Bianciardi. Ho appena letto La vita agra e l’ho trovato un libro eccezionale, superstimolante almeno quanto On the road di Kerouac.
Resto, affascinato, ad ascoltare i dialoghi tra lo scrittore e alcuni giovani, i più arditi, che gli fanno un sacco di domande, anche la “bella” che ormai mi lascia indifferente gli si rivolge, ma da come parla mi sembra una tremenda snob. Non è tipo per me concludo. Non è il caso di provarci. (Autoscusa meschina e puerile!)
Comunque l’attenzione è tutta per lo scrittore, mi affascina e m’intimidisce. Naturalmente non riesco a vincere l’emozione per cercare di dirgli qualcosa, e quando tutto finisce, mi ritrovo per strada, ancora più incazzato e deluso. Non mi è riuscito di attaccare discorso né con la femmina né con lo scrittore. Sono proprio una frana!
Tempo dopo, ormai ho dimenticato l’episodio, sono anch’io a Santa Margherita, in vacanza, (ahimè, da un lungo periodo di vacanza) e mi capita sotto gli occhi un articolo di giornale che parla di Luciano Bianciardi, di qualche polemica con suoi editori, e vengo a sapere che si trova a Rapallo.
Da quel momento comincio a pensare all’incredibile opportunità che potrei avere, vista la vicinanza delle due località liguri, se solo riuscissi a trovare il coraggio.
Così, arrovellandomi in spossanti tentennamenti, alla fine riesco ad ottenere, tramite una casa editrice, il suo numero telefonico, e un giorno, chissà come, trovo la forza di comporre quel numero: mi risponde una voce femminile roca, sensuale, e a fatica riesco a chiedere di lui.
Poi tutto si svolge, come in un sogno, in modo del tutto facile e lineare. Quando gli dico che vorrei conoscerlo e che sto a Santa, m’invita semplicemente a prendere un caffè insieme, al suo bar preferito.
Caffè Biancaneve, sul lungomare di Rapallo. Mi aspetta seduto a un tavolino, grande emozione, blocco in gola, poi pian piano non ci sono più problemi. Mi chiede che cosa voglio da bere:
— Un caffè, grazie.
— È sicuro, non vuole niente di più forte? — Con un sorriso beffardo, mentre fa l’ordinazione al cameriere, aggiungendo: — A me ne porti un altro.
Già dal primo scambio di battute mi tranquillizzo. Sa come mettermi a mio agio. Mi fa domande intelligenti, mi racconta dei fatti suoi, con semplicità, senza pudori.
Mi parla con quell’accento toscano sanguigno del suo grande amore del momento. Si chiama Maria, e ancora non lo sapevo, ma un giorno anche per me quel nome sarebbe stato molto caro.
Poi si mette a raccontare aneddoti del suo rapporto con gli editori, spassosi, arguti, e spesso taglienti. Sta passando un momentaccio per colpa di certe teste di cazzo che capiscono la metà di quello che servirebbe per essere considerati dei bischeri.
Inutile dire che io mi bevevo ogni sua parola, estasiato e satollo d’ego per quell’incredibile sua disponibilità nei miei confronti.
Dopo quel primo incontro, ci siamo visti solo altre due volte, mi ha raccontato moltissimo di sé e dei suoi crucci, mi ha regalato stimoli fondamentali per la mia passione, allora solo accennata, per la scrittura e la letteratura. È stato un inimitabile maestro di vita. Purtroppo se n’è andato troppo presto. Ricordo che mentre mi saziavo delle sue parole, lui beveva, con la massima noncuranza e strafottenza, quel dolce veleno, che di lì a poco ci avrebbe privato del suo grande talento.