I consigli di scrittura di Elmore Leonard

Nel 2001 il New York Times domandò allo scrittore Elmore Leonard di sintetizzare in dieci regole quanto avrebbe potuto insegnare sulla scrittura.

Leonard, che ci ha lasciati nel 2013, è stato uno scrittore, un produttore e uno sceneggiatore americano. Ha scritto numerosi romanzi e racconti, e tantissimi film, tra cui “Jackie Brown” di Quentin Tarantino, sono stati tratti dalle sue opere.

I più, tra cui anche Stephen King, lo considerano il re dei dialoghi, e il tributo da parte del Times è stato: “Ha reinventato il poliziesco, gli ha tolto quella polvere che aveva e lo ha regalato alle generazioni future.”

Che cosa può insegnare un artista di questo calibro? Certamente tante cose, e oggi per te ho pronti i suoi dieci consigli di scrittura che scrisse per il Times.

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Consiglio numero 1: evita di iniziare parlando del tempo

Leonard scrive: “Se è solo per creare atmosfera, e non è una reazione del personaggio al tempo, non andrai molto lontano.”

In effetti tanti libri iniziano parlando delle condizioni climatiche, forse per dare un senso di atmosfera al libro. Io stessa mi accorgo di farlo tante volte! In realtà, l’elemento “tempo”, da solo, può sì creare buone scene descrittive, ma è sempre meglio “integrarlo” ai sentimenti dei nostri personaggi.

Consiglio numero 2: evita i prologhi

“Possono annoiare, soprattutto quelli che seguono un’introduzione che viene dopo una prefazione.”

Nei saggi questo avviene, ma nei romanzi il prologo è visto come un antefatto, e si può metterlo dove si pare.

Ultimamente devo ammettere che trovo ben pochi prologhi in narrativa, ma i pochi che trovo sono ben scritti e c’entrano con la storia.

Ovvio, se il prologo che hai in mente c’entra poco, evitalo e passa subito al dunque.

Consiglio numero 3: nei dialoghi non usare altri verbi tranne che “disse”

Secondo Leonard, “la battuta appartiene al personaggio; il verbo è lo scrittore che ficca il naso.”

Il verbo dire è quasi trasparente, sta lì e non si vede, a differenza di altri verbi come affermare, dichiarare, annunciare, eccetera.

Sulla questione verbi c’è molta discordanza e ho letto tanti articoli che la pensano diversamente. In alcuni casi, il consiglio è l’opposto di quello di Leonard: proprio per evitare di ripetere di continuo il verbo “dire”, è meglio usare qualche suo sinonimo — sempre evitando verbi ridondanti o sconvenienti.

Personalmente, se posso evito incisi come “disse”, “parlò”, “annunciò” eccetera e passo direttamente all’azione, mostrando cosa fa il personaggio mentre sta parlando.

Consiglio numero 4: nei dialoghi non usare l’avverbio per modificare il verbo “dire”

“Lo scrittore si espone troppo, usando una parola che distrae e che può interrompere il ritmo dello scambio.”

In effetti l’uso dell’avverbio in coppia con il verbo dire (esempio: disse amaramente) è pesante e spesso non dà nulla in più al lettore.

Come ho già scritto in un precedente articolo sugli avverbi, è sempre meglio andare oltre il generico e cercare di spiegare perché, seguendo l’esempio sopra, la persona dice qualcosa amaramente, o in che modo trapela questa sua amarezza.

Consiglio numero 5: mantieni i punti esclamativi sotto controllo

Uno degli errori più frequenti, soprattutto dell’esordiente, è lanciare i punti esclamativi a casaccio, tipo “dove va, va”. I dialoghi di questi scrittori sono infarciti di punti esclamativi anche laddove non è necessario.

Secondo Leonard, “ti è permesso di usarne non più di due o tre ogni 100.000 parole.”

Consiglio numero 6: non usare mai “improvvisamente” o “s’è scatenato l’inferno”

Leonard qui è serafico: “Questa regola non richiede una spiegazione. Ho notato che gli scrittori che usano ‘improvvisamente’ tendono ad avere meno controllo nell’uso dei punti esclamativi.”

Consiglio numero 7: usa dialetti, patois e slang con moderazione

“Una volta che cominci a compitare foneticamente le parole nei dialoghi e a riempire le pagine di apostrofi, non sarai più in grado di fermarti.”

L’utilizzo di slang e dialetti nei dialoghi è sempre una bella cosa perché accresce la fisicità del personaggio, ma come sempre è meglio non esagerare.

Tuttavia mi sento di dissentire un poco con questa regola, poiché romanzi come la serie di Montalbano di Camilleri o “La paranza dei bambini” di Saviano sono memorabili proprio per la loro attaccatura al parlato.

Consiglio numero 8: evita dettagliate descrizioni dei personaggi

Leonard riporta l’esempio di “Colline come elefanti bianchi” di Hemingway: “Come sono ‘l’Americano e la ragazza che era con lui’? ‘Si era tolta il cappello e lo aveva messo sul tavolo’. Nel racconto, questo è l’unico riferimento a una descrizione fisica.”

Mi è stato più volte criticato l’uso pressoché assente di descrizioni fisiche dei personaggi dei miei libri, ma è una cosa che ho sempre detestato fare. Forse io sono esagerata perché riduco le descrizioni all’osso e magari dovrei almeno inserire qualche dettaglio, ma anche la sovrabbondanza di descrizioni fisiche può risultare noiosa — soprattutto qualora capitino in una scena d’azione.

Bisogna sempre trovare la linea di mezzo tra il non dire e il dire troppo, e tenere a mente la benedetta regola del “mostra, non dire!”, che so già mi tirerai dietro perché l’avrai letta mille volte 🙂

Consiglio numero 9: non andare troppo nel dettaglio descrivendo cose e persone

Ci riallacciamo a quanto scritto prima: “Non vuoi descrizioni che portino l’azione – il flusso della storia – a un punto morto.”

La descrizione, di cose, luoghi e personaggi, è prerogativa soprattutto del romanzo moderno, e mi perdonerai se scomoderò di nuovo il nostro Manzoni, oppure Tolkien, che usava pagine e pagine di descrizioni.

I romanzi contemporanei sono più dritti all’azione e riducono all’essenziale ogni cosa: solo quanto serve al lettore per comprendere la scena, nulla di più.

Consiglio numero 10: rimuovi le parti che il lettore tende a saltare

“Pensa a cosa salteresti leggendo un racconto: fitti paragrafi che trovi abbiano troppe parole.”

Certo, è sempre difficile tracciare il confine tra quanto sembra interessante a noi autori e quanto, invece, dovrebbe interessare il lettore: siamo sempre schiacciati dal timore che, togliendo qualcosa, quest’ultimo non capisca, e un lettore che non capisce è un lettore confuso e irritato.

Qui si tratta di dosare bene ogni informazione, evitando spiegoni o infodump e sì, magari lasciando il lettore libero di interpretare a suo piacimento alcune parti.

Se vuoi leggere l’articolo originale, ecco il link: https://www.nytimes.com/2001/07/16/arts/writers-writing-easy-adverbs-exclamation-points-especially-hooptedoodle.html

 

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