Scrivere un racconto

Tutti noi scrittori (o aspiranti) ci siano cimentati sulla stesura di racconti, brevissimi o più lunghi.

Per alcuni è naturale scriverli, altri hanno più difficoltà e preferiscono lanciarsi solo sui romanzi.

Tuttavia, prima o poi ci capiterà di dover scrivere un racconto (anche “solo” per partecipare a un contest o un concorso): dobbiamo, allora, capire come funziona.

Il racconto è diverso dal romanzo, e non solo per la lunghezza: in un racconto è meglio sempre focalizzarsi su azione e tralasciare parti discorsive o descrittive. Spesso non spieghiamo nemmeno il “perché” di certi avvenimenti, preferendo che sia il lettore a trarre le sue conclusioni.

Stephen King di racconti ne ha scritti tanti, pubblicati in numerose raccolte uscite nel corso degli anni.

L’ultima raccolta, “Il bazar dei brutti sogni”, oltre a essere un must per i tantissimi fan, è utile perché svela i retroscena, ossia le idee alla base di ogni racconto (una “prassi” non nuove per il Re, basti leggere i commenti su “Incubi e deliri” e “Scheletri”).

Sulla base di questi commenti, è possibile trarre anche qualche consiglio di scrittura.

Ecco i tre principali.

Primo consiglio: spesso non serve trovare spiegazioni

Come ho già scritto prima, in molti racconti non è necessario spiegare il motivo di un certo evento, o altro.

Qualcosa capita. Punto.

Sarà il lettore a capire il perché, o a immaginarlo.

Un racconto di Stephen King, contenuto nell’antologia “Incubi e deliri”, parla di un dito che sbuca dallo scarico di un lavandino e ossessiona il protagonista.

Non c’è alcuna spiegazione, non sappiamo a chi appartenga quel dito né il motivo per cui abbia deciso di infastidire il protagonista.

Ce ne parla Stephen King nel commento al racconto:

Nei racconti brevi, ci sono casi in cui all’autore è ancora concesso di dire: “È successo questo. Non chiedetemi perché.” La storia del povero Howard Mitla è una di queste e a me sembra che i suoi sforzi per risolvere il problema del dito che sporge dallo scarico del lavandino durante la trasmissione di uno spettacolo a quiz in televisione sia una metafora perfettamente valida su come dobbiamo vedercela con le brutte sorprese che la vita ha in serbo per tutti noi: tumori, incidenti, coincidenze da incubo. È l’area della scrittura fantastica dove è possibile rispondere alla domanda: “Perché succedono cose brutte alla brava gente?” con : “Mah… non me lo chiedere.”

Quindi, quello che possiamo estrapolare è: non diamo una spiegazione logica a tutto. Spesso non serve.

Secondo consiglio: teniamo le buone idee da parte

Ossia: non sempre la prima idea che ci viene in mente è giusta. E, se lo è, magari è incompleta. Dobbiamo quindi lasciarla riposare un poco e poi riprenderla in mano quando arriverà la giusta folgorazione.

Ecco cosa ci dice il Re a proposito del suo racconto “Una rissa per Batman e Robin” (“Il bazar dei brutti sogni”):

Ogni tanto i racconti arrivano completi, fatti e finiti. In genere si presentano in due parti: prima la tazza, poi il manico. Considerando che il manico può non saltare fuori per settimane, mesi o persino anni, ho una scatola in un angolino del cervello piena di tazze inservibili, protette nello speciale materiale da imballaggio che chiamiamo memoria. Impossibile mettersi alla ricerca di un manico, per quanto la tazza sia bella: bisogna aspettare che compaia da solo.

Il racconto “Una rissa per Batman e Robin” è nato così: prima la tazza (un alterco a un semaforo), poi il manico, un annetto dopo (due uomini seduti a un tavolo in un ristorante).

Tuttavia a volte arrivano tazzine già con il manico, come per il racconto successivo della raccolta, “Dune”:

Come anticipato nella nota introduttiva a «Una rissa per Batman e Robin», talvolta, molto raramente, la tazza arriva con il manico già attaccato. Dio, quanto mi piace. Stai sbrigando le tue faccende, pensando a nulla di particolare, e poi bang, ti viene recapitato un racconto via corriere espresso, perfetto e completo. A quel punto non ti resta che trascriverlo.

Aspettiamo, allora, che l’idea che abbiamo in mente sia a completa maturazione: non gettiamoci nella scrittura fino a quando l’idea non sarà piena e pronta all’uso.

Terzo consiglio: alcune volte è necessario documentarci

Anche se scriviamo racconti, brevi o lunghi che siano, e, come abbiamo visto prima, succede spesso che non dobbiamo spiegare tutto né entrare nei dettagli, ci sono particolari situazioni dove è FONDAMENTALE la documentazione.

Il rischio è un racconto che non sta in piedi, e al quale la risposta “non mi chiedere com’è successo” non è quella giusta.

È il caso de “La Cadillac di Dolan”, primo racconto della raccolta “Incubi e deliri”.

Un racconto dai numerosi particolari tecnici senza i quali, tuttavia, non sarebbe stato in piedi.

Scrivendo “La Cadillac di Dolan”, mi sono reso conto che… non avrei potuto fare il furbo, perché l’impianto stesso del racconto dipendeva da una serie di particolari scientifici, formule matematiche e postulati della fisica.

King ha così chiesto aiuto al fratello Dave, che ha registrato una videocassetta dove spiegava come seppellire un’auto passo dopo passo.

Quali conclusioni possiamo trarre da queste parole?

Spesso, anche se stiamo scrivendo un racconto, dobbiamo fermarci e fare ricerche, se vogliamo che l’impianto della storia sia valido.

Riassumendo:

  1. Non preoccupiamoci di spiegare certe dinamiche per alcuni racconti: a volte è meglio non dire nulla e “lanciare” la palla al lettore;
  2. Attendiamo che ogni idea arrivi a maturazione, scriviamo solo quando siamo certi che l’idea è completa;
  3. Dedichiamo ore del nostro tempo a ricerche laddove il racconto lo richieda.