In tanti hanno accolto l’estro creativo scaturito dal mio precedente post (che trovi qui), e mi hanno dato il consenso a pubblicare il loro racconto.

Ecco il primo, di Lorenzo Malagola (con cui ho avuto il piacere di collaborare l’anno scorso nella revisione di un libro che spero prima o poi verrà pubblicato).


L’insegna in ferro del Quattro Soli dondola appesa a due neri catenacci, dipinta dal caleidoscopio di luci che attraversano la vetrata colorata della locanda. Una pinta di scura servita con abbondante schiuma è quello che ci vuole per ristorarsi dopo aver speso il pomeriggio in auto da Dublino a Tulsk.

Arthur ordina un altro giro e poi resta in piedi al bancone a concordare con il proprietario il pagamento della stanza per la notte. Seduto al tavolo a guardare un gruppetto di anziani che giocano a freccette, Bors beve a grossi sorsi, mandandoli giù pesanti come fossero gli ultimi della sua vita. I due cinquantenni sono partiti quasi per scherzo, un viaggio nell’Irlanda immaginaria per lasciarsi alle spalle la tangibilità del lavoro e i problemi famigliari.

Stanchi e ubriachi, pagano il conto e salgono le strette scale di legno sorreggendosi l’uno all’altro. Prima di addormentarsi, Arthur borbotta qualcosa a bassa voce.

«La vita è stata ingrata con te. Lo so bene. Hai fatto tante rinunce. Ma ne verrà fuori qualcosa di buono. Vedrai. Segui la tua strada e ci arriverai. Seguila. Sì. Tu seguila e vedrai.»

Le parole arrivano a Bors come sospinte senza peso e spengono la luce nei suoi occhi.

Il mattino è così fosco che il sole pare scomparso. La locanda è deserta e così pure la strada che attraversa il villaggio. Bors si guarda attorno smarrito, chiedendosi se la sbronza della sera prima gli abbia annebbiato la ragione. Dopo aver seguito il marciapiede fino alla chiesetta al confine del paese, si volta indietro e si rende conto di essere solo. Arthur, il proprietario del locale, gli anziani che giocavano a freccette, gli abitanti, tutti scomparsi. Anche l’auto presa a noleggio e quelle parcheggiate di fronte alle case non ci sono più. Da quando è uscito dalla locanda il silenzio è stato l’unico suo compagno.

Un cavallo bruca tra l’erba rada del piccolo cimitero di fianco alla chiesa. Bors nota che l’animale appare deperito, quasi consumato dal tempo e della fame, le costole in evidenza e il manto macchiato dalla malattia. Seduta su di una lapide di pietra annerita come la pece, una ragazzina singhiozza raccogliendo le lacrime con le mani e asciugandole sulla gonna leggera.

«Scusami! Posso aiutarti? Cosa ti è successo? »

Bors scavalca il basso muretto che circonda il cimitero e le si avvicina a piccoli passi, il corpo proteso in un gesto di soccorso.

«Hai bisogno? Sai dove sono andati tutti?»

Il cavallo si allontana trascinandosi oltre la nebbia. La ragazzina smette di piangere e solleva lo sguardo sull’uomo, due occhi di carbone spento che sconvolgono il pensiero. Bors fa qualche passo indietro senza più il fiato per parlare. Il braccio della sconosciuta si tende a indicare un punto all’orizzonte, laggiù oltre lo scheletro di alcuni alberi in mezzo alla bruma. L’uomo si incammina sospinto da una forza antica che non riesce a comprendere.

Il sentiero non è impervio, radura dopo radura, senza alba né tramonto, senza sonno né appetito. Bors non ha quasi più memoria di quale fosse la sua vita precedente e ormai non gli interessa più. Lungo il tragitto non ha mai incontrato nessuno e se ora accadesse ne resterebbe così sorpreso da fuggire a nascondersi. Ogni tanto il cavallo affamato compare in lontananza a brucar via l’erba dall’orizzonte, e poi in un attimo galoppa oltre. Bors allora si incammina in quella direzione, fidandosi del pallido destriero.

Forse sono trascorsi quaranta giorni dall’inizio del viaggio o forse quarant’anni, quando Bors raggiunge gli alberi spogli indicati dalla ragazzina cieca. Sopra di essi la foschia si dirada e una luce fragorosa prende vita dai rami. Le radici si contorcono a delineare l’ingresso di una piccola grotta, scavata nella roccia bianca che emerge dal terreno. L’interno della bassa galleria è completamente buio e dopo averla percorsa tutta avanzando a tentoni, Bors riemerge sotto il cielo della notte più limpida che abbia mai visto. In mezzo al prato e al profumo di erba selvatica si erge la lapide scura del piccolo cimitero da cui ha avuto inizio il pellegrinaggio.

La ragazza singhiozza in piedi di fronte all’iscrizione che ora appare chiaramente visibile alla luce di miliardi di stelle.

Qui giace la Verità.

Solo a chi ha attraversato il cancello

è concesso di scavare nel profondo

di trovare dentro di sé la forza

per conoscerla e donarla

La volta celeste ha ruotato tre volte, quando Bors termina di scavare sotto la lapide a mani nude e può finalmente accarezzare il legno della scatola liscia come la seta. La sua compagna cieca e il debole cavallo sono rimasti a fissarlo in silenzio per tutto il tempo, in una immobile aura di speranza. La sottile iscrizione sul dorso della scatola si fa destino. Dopo averla letta Bors si porta la mano al petto e non sente battere il cuore.

Piangete e Gioite

Siete morti, Ora vivete

L’esplosione è catastrofica e divora tutto quello che incontra. I suoi due compagni di viaggio saettano verso l’eternità come radiose stelle cadenti, mentre lui rimane appeso a quelle parole.

Si sveglia di colpo con gli occhi lucidi e il cuscino bagnato dalle lacrime. Arthur sta ancora russando debolmente nel letto a fianco. Non c’è più tempo da perdere.

«Svegliati, Arthur! Dobbiamo tornare a casa!»

L’uomo non è ancora del tutto sobrio e rantola in un lamento di disapprovazione.

«Che c’è? Cosa stai dicendo, Bors? Ti sei alzato male?»

«Ho trovato quello che cercavo! Andiamo.»

Il sole è quasi al tramonto quando arriva al maneggio. È più di un anno che non torna a casa. Non aveva intenzione di tornarci. Il lavoro lo ha tenuto lontano dagli affetti e ormai pensava che senza vincoli tutto sarebbe stato più semplice. Stava morendo, questa è la verità. Non può ancora perdonare la moglie per tutti i loro litigi e forse non ci riuscirà mai, ma può perdonare sé stesso.

Eliana sta montando in sella alla sua amata Khloe. Quando scorge Bors, gli occhi le si illuminano e lo raggiunge al galoppo.

«Papà. Sei tornato!»