Le Brevissime

Le Brevissime è la rubrica dedicata ai miei racconti brevi o brevissimi. Stralci di deliri, sogni, incubi; o racconti creati per gioco.

Ti seguirò laddove il sole si abbandona alla notte

7 giugno 2007. Questo breve racconto è nato da un sogno che all’epoca mi colpì molto, e anche nel scriverlo l’emozione è stata intensa. Lo riporto così come l’ho messo su carta.

La mia è stata una storia futile, innocente (anche se non troppo), breve e tormentata. Nonostante questo ha lasciato un segno indelebile nella mia anima. Ma la colpa è soltanto mia, sono fatto così, mi perdo in sciocchezze, mi innamoro facilmente, come un ragazzino.

Mi credono un uomo senza cuore, mi credono un frivolo, un uomo da niente. Ma non è vero, e questo mi fa incazzare. Ma ora non c’entra. Non importa. Volevo scrivere solamente due righe (cosa che faccio raramente) sulla mia storia e forse, dopo, me ne libererò per sempre.

È stata una storia, come ho detto, breve, tormentata. Forse non del tutto innocente, forse non del tutto futile. È stata segreta, come tutte le altre storie che ho avuto e che mi sono rimaste nel cuore. È stata anche una storia strana. Sorrido a pensarci.

La storia tra un demone o qualcosa che poteva avvicinarcisi e un povero sfigato come me.

Sorrido anche a pensare a com’è iniziata. Per gioco, da parte mia, per cattiveria, da parte sua.

Si chiamava Hybris, che vuol dire sopraffazione, ma alla fine non fui lui a sopraffare, fu sopraffatto lui stesso, fummo sopraffatti entrambi.

Ricordo tutti i nostri singoli incontri, non potrei dimenticarli.

Era cattivo, in un certo senso, ma non con me. È sempre stato dolce, forse deridente, cinico, ironico, ma non crudele. Voleva semplicemente quelle cose che nessuno poteva dargli, o almeno nel posto da dove veniva. Voleva qualcuno che lo ascoltasse, che lo capisse; che lo amasse anche, credo. Ma queste cose non me le ha mai dette. Era orgoglioso, non mostrava i suoi sentimenti appieno; un po’ come me, e forse anche per questo ho trovato in lui qualcosa che in altri non avrei trovato, tranne che nell’amore della mia vita, che purtroppo è terminato da anni… cazzo, perché mi perdo nei discorsi?

Era orgoglioso, dicevo, e anche un po’ strambo. Gli piaceva fumare. Da lui non c’era, il fumo intendo, e perciò quando arrivava mi chiedeva un sacco di sigarette. Lo facevano sentire umano, diceva. Sì, umano, usava proprio quella parola. Perché lui non era umano, era un demone, no?

Non so perché mi perda a ricordare queste sciocchezze. Forse, scrivendole su un foglio, penso di estraniarle dalla mia anima? Ma in realtà non faccio altro che renderle più tangibili.

Ah, dimenticavo. La cosa più importante. Più importante per chi non lo so, visto che queste pagine resteranno rinchiuse in un cassetto o, ipotesi migliore, le brucerò. La nostra non fu una storia di sesso. O almeno, il sesso non era uno degli elementi essenziali. Le volte in cui facevo sesso le posso contare sulla punta delle dita.

Eravamo più amici che amanti. Ci raccontavamo di noi stessi, del mio paese, del suo, ci confidavamo come due donnine. Non abbiamo mai litigato. Siamo stati insieme troppo poco tempo. Ma non me ne sono pentito. Forse ne ero troppo innamorato, forse mi incuteva timore per potermi arrabbiare con lui. D’altronde, nemmeno lui ha mai dato a vedere di essere stato arrabbiato con me. Era orgoglioso, l’ho detto.

Eravamo amici, ma ci amammo. Le poche volte che siamo stati insieme… perché devo ripetere le cose due o tre volte? Dicevo, le poche volte che abbiamo fatto sesso sono state strane, non so descrivere un sentimento preciso. Aveva un modo di imporsi diverso dal mio. Voleva imparare ma allo stesso tempo trovava sempre qualcosa da insegnarmi. Solo in questi casi mostrava veramente le sue emozioni.

Mi piace ricordare come fosse strano e innocente, a volte. Gli piacevano i gatti, o forse lo incuriosivano soltanto. Talvolta, quando poteva, si metteva a osservarli, e poteva starci delle ore senza stancarsi. Diceva che erano come noi (come noi, non come lui), solo che a loro mancava la parola, e penso proprio avesse ragione. Andava matto per l’arte gotica e per i rave. Mi ci portava qualche volta, alle feste rave dove l’avevo conosciuto, e mi divertivo a osservarlo fare amicizia con stupide ragazzine che subito perdevano la testa per lui. Penso che gran parte di queste se le sia anche portate a letto, ma non ero geloso; o almeno è quello che cerco di dirmi. Eravamo più amici che amanti. Quando capì di essersi realmente innamorato di me, comunque, smise di andarci.

Gli ultimi tempi divenne pensieroso, ma non mi volle mai dire il perché, solo dopo credo di averlo capito. Non poteva stare a lungo nel nostro mondo, mi spiego? Il suo corpo cominciava ad avvizzire; no, non ad avvizzire: a deteriorarsi. È come se avesse avuto un cancro, o una malattia che lo spegneva dall’interno.

Fui io a ucciderlo.

Non so perché lo feci, forse perché speravo che se l’avessi fatto io non avrebbe sofferto molto, forse perché era proprio il nostro rapporto che me lo imponeva, o forse perché semplicemente è stato lui a chiedermelo. Voleva smettere di vedermi soffrire per lui. Mi spiego? Non voleva che soffrissi io invece di voler smettere di soffrire lui. Ma non aveva paura di soffrire, non lo disturbava star male.

Ci amammo un’ultima volta, prima che lo uccidessi, e fu senza dubbio quella più bella. Lo feci quando era ancora tra le mie braccia. Un colpo diretto, secco, al cuore, con un banale coltello da cucina. In fondo, il suo organismo non era tanto diverso di noi esseri umani.

L’ho seppellito in fondo all’orto di casa nostra, dove l’erba cede spazio al bosco. L’unica cosa che mi sia rimasta di lui è la sua collana, un semplice ciondolo di ossidiana che sembrava brillare alla luce della luna.

Non so dove sia ora il suo spirito, se mai ne avesse avuto uno, visto che era un demone; ma a ricordarlo lo vedo ora come un angelo, e mi accorgo di averlo amato veramente.

A volte, nella notte, mi sveglio di soprassalto e sono quasi certo che lui sia lì, davanti a me, che mi osserva dormire come usava sempre fare. Invece è il riflesso della luna che getta ombre sulla mia stanza. Tuttavia mi piace credere che sia veramente lui, il suo spirito o la sua anima, o qualunque cosa vi si avvicini.

Nessuno sa che indosso il suo ciondolo, credono che l’abbia buttato, ma d’altronde nessuno sa come sia realmente stata la nostra storia.

Mi sto interessando alla magia. Prima mi sembrava una sciocchezza, ora non più. Guardo un sacco di film e telefilm su questo argomento e continuo a ripetermi che se li hanno fatti, non possono essersi inventati tutto, no? E se i demoni esistono veramente, allora anche la magia deve esistere.

Ho in mente di raggiungere Hybris. Ovunque egli si trovi. Esisteranno anche per i demoni un paradiso e un inferno. Qui non mi trattiene nulla. Non ho lavoro, non ho amici, la mia ragazza mi ha lasciato dicendomi che non l’amavo veramente (e forse è proprio così), e i miei fratelli hanno la loro vita.

È stabilito.

Troverò il mio demone sotto forma d’angelo, ovunque egli sia.

Ti chiedo solo una cosa, Hybris.

Aspettami.

Ti raggiungerò laddove il sole si abbandona alla notte.