In pieno lockdown era scoppiata la solita “flame” su un social molto famoso in merito al costo di servizi editoriali (editing, correzione di bozze…) che alcuni autori ritenevano eccessivo, e mi è stato anche caldamente consigliato di “abbassare i prezzi” perché (non è stato detto proprio così, ma in soldoni il senso era quello) “se non ti cerca nessuno ci sarà un motivo”.

Premessa: il post che aveva scatenato la flame non riguardava il supposto “non cercarmi perché” bensì era una riflessione generale sul mondo infimo dell’editoria (soprattutto self-publishing). Chi ha detto che gli editori tradizionali sono str… non conosce certi autori indie e la becera maniera che hanno di coalizzarsi gli uni contro gli altri per prendere un cinque stelle in più su Amazon😉).

Tutto questo pandemonio ha fatto emergere, semmai ce ne fosse la necessità, la noiosa e logorante questione del “se contatto un editor devo vendermi un rene”.


Editing no, ma altro sì…

Oggi mi sento polemica (e se segui i miei articoli sai che lo sono spesso 😊) e quindi mi chiedo: ma perché non si vuol pagare 1000 euro per un lavoro di editing ma 1200 euro per qualsiasi altra cosa?

E l’esempio rimanda alla questione correlata al “non voglio un editor perché è caro”: la poca importanza che questa figura ha ancora nel panorama italiano.

Ho intrapreso questa professione da un po’ ormai e sebbene anni fa fosse ancora peggio, ancora adesso la tendenza è spesso quella di: ma che sarà mai, correggere un libro. A parte che non lo si corregge soltanto, editare va mooolto oltre la correzione, ma allora potremmo fare lo stesso discorso, che ne so, con un imbianchino.

Che sarà mai imbiancare una parete?

Però all’imbianchino diamo il compenso che merita, perché sappiamo quanto lavoro c’è dietro. Come paghiamo senza battere ciglio un intervento odontoiatrico, la seduta dallo psicologo, il meccanico che cambia le pastiglie dei freni.

Ecco, perché invece se un editor osa chiedere 500 euro (che per certi testi è davvero poco) si grida allo scandalo?

Non c’è tutela

La professione dell’editor non è tutelata.

Non esiste un sindacato degli editor o un’associazione che li riunisca (a parte pseudo-associazioni farlocche con sede a XX in qualsiasi paese europeo e non in cui le tasse siano poche o nulle e il cui scopo è vendere corsi o servizi ad aspiranti editor) o qualsiasi altro organismo che li tuteli e faccia in modo che innanzitutto sia richiesto un titolo di studio (specifico, eh, non il masterino online che di universitario non ha nulla), ma che soprattutto possano lavorare soltanto le persone davvero competenti (per aderire all’AITI, ad esempio, l’associazione dei traduttori e degli interpreti, è prevista una prova di ingresso). E che, soprattutto di soprattutto, venga riconosciuto il giusto compenso a quello che a tutti gli effetti è un lavoro.

No, un editor non lavora quando capita o quando ne ha voglia, e sì, anche se lavora da casa non vuol dire che stia tutto il giorno su Steam (da quando c’è la pandemia il telelavoro è stato rivalutato, ma prima se dicevi che lavoravi da casa di squadravano manco avessi detto di aver parlato con ET).

Un editor paga le tasse come tutti gli altri lavoratori, e chi ha la partita IVA saprà bene che il salasso bussa alla porta ogni anno.

Quindi: perché?

Di risposte ce ne sono tante…

… tralasciando le lacune giuridiche, che purtroppo non riguardano soltanto gli editor ma anche tante altre professioni, anche di altri settori, le risposte principali potrebbero essere due (che poi è la stessa, vista da un punto di vista diverso).

Uno, il marasma di editor alle prime armi che offrono i loro servizi a prezzi stracciati per farsi conoscere; il marasma di sedicenti editor che non importa pagare poco, l’importante è pagare.

Due, i tanti autori, case editrici e agenzie di servizi editoriali che sanno della presenza di queste persone, perciò se io X rifiuto di lavorare a un testo per 50 euro non “patteggiano” ma si rivolgono altrove.

Un gatto che si morde la coda, insomma.

Tutto questo pippone (rileggendo mi sono accorta che lo è davvero) per dare l’ennesimo, e inutile, contributo alla causa, e per gridare ancora una volta che se l’editor si fa pagare è perché sa fare il suo lavoro e perché sa che è un lavoro che richiede tempo (editing di testi lunghi in tempi record sono suicidi letterari), sa che deve pagare le tasse ecc. ecc. E poi, insomma: essere editor è una professione, è un lavoro. Diamogli l’importanza e il rispetto che merita!