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Trovare un buon libro è sempre piacevole. Leggerlo tutto d’un fiato, voler sapere come andrà avanti. E poi quel senso di appagamento quando lo hai terminato, misto anche a un po’ di nostalgia, perché sai che dovrai salutare i compagni che hai seguito fin lì.

Se cerchi un romanzo che ti dia questo, non posso che consigliarti l’ultimo libro di Elide Ceragioli, L’uomo che parlava alle pietre.

Una storia lunga millenni

La Ceragioli, come dire, non è un’autrice nata ieri. E L’uomo che parlava alle pietre è solo l’ultima delle sue “fatiche”. Nel 2011 pubblica il primo romanzo La libertà delle foglie morte, ma scrive racconti già da dieci anni. Sempre nel 2011 partecipa alla XV Edizione Premio Letterario “Carlo Ulcigrai” con il racconto L’uomo che parlava alle pietre e riceve una menzione speciale con la motivazione: Raffinata scrittura al servizio di una coinvolgente rievocazione del vivere primordiale. Il racconto viene pubblicato in una raccolta curata dagli organizzatori del concorso e affiancato dalle illustrazioni di Elena De Giorgi.

La collaborazione tra Elena ed Elide procede e si conclude con la realizzazione del romanzo L’uomo che parlava alle pietre, di cui le illustrazioni della De Giorgi sono un plus che non poteva mancare.

Riporto una frase significativa di Giuseppe Cuminatto, che ha curato la struttura del romanzo e ne ha scritto la prefazione:

Per il lettore il libro si presenta come un’assoluta novità e una piacevole sorpresa: – ambientazione nella preistoria – illustrazioni da inquadrare e appendere alle pareti – un testo scorrevole e frizzante come un torrente alpino, capace di prendere, affascinare, commuovere e intrigare L’uomo, la donna, i bambini, la famiglia, la società con… buoni e cattivi, la forza e la disabilità, l’amore, l’odio e i conflitti interpersonali e sociali. C’è tutto… ma siamo all’età della pietra.

Penso che in questo breve periodo ci sia tutta l’essenza del romanzo di Elide. Amore, odio, speranza, disperazione.

È la storia di ognuno di noi, è la nostra storia. Sì, perché se da un lato percorriamo insieme a Ola, Uta, Pua il lungo cammino verso una nuova tribù che li accolga, dall’altro lato è il cammino dell’umanità, quello che l’autrice dipana grazie alla sua penna fluida e incalzante.

Il cammino dell’umanità, tra speranza e realismo.

La trama

ceragioliOla e Uta sono una giovane coppia che, con la nascita di Pua, diventa una famiglia di migliaia di anni fa. Le condizioni di vita dell’epoca (età della pietra), le difficoltà di rapporto tra gruppi etnici diversi, le avversità ambientali, accentuate da una catastrofe naturale, sono lo scenario in cui vivono ed agiscono.

Nel loro viaggio alla ricerca di un gruppo che li accolga i componenti della famigliola, attraverso chi incontrano e il ricordo di chi hanno conosciuto nel passato, fanno conoscere una schiera di personaggi diversi e complementari, in una coinvolgente rievocazione del vivere primordiale.

Il viaggio della famiglia di Pua, il bambino che sa parlare alle pietre, diventa un percorso alla scoperta dell’amore e dell’amicizia, delle relazioni familiari e sociali, dove non mancano le avversità naturali né quelle causate dalla malvagità dell’uomo, dove sofferenza e morte sono spesso presenti, anche in modo crudo e violento, ma dove al centro resta il valore della persona che si realizza e trionfa non nella sterile ricerca di affermazione o prevaricazione, né nella solitudine o nell’isolamento, ma nell’anelito di incontro e nella scoperta delle relazioni familiari e sociali.

Il romanzo è edito da Youcanprint e lo puoi acquistare su tutti gli store online, in versione cartacea o e-book.

La recensione

Scrivere un libro ambientato nell’età della Pietra non è facile. L’ambientazione, gli usi, i costumi, le società… ci sono mille sfaccettature che rendono il romanzo un poliedro colorato.

Mi ricordo quando avevo sì e no dieci anni e, per il mio compleanno, mia madre mi regalò uno di quei puzzle a tre dimensioni che raffigurava una chiesetta medievale. Non bastava incastrare i pezzi, dovevi anche costruirlo, un po’ come nei Lego. E se un pezzo era messo male… ahia, rischiava di cadere tutto!

Bene, questa metafora per dire che se non stai attento, se sbagli anche solo una data o una parola, l’impianto del romanzo cadrà a pezzi. Soprattutto se scriviamo di epoche lontane alle nostre.

Bisogna documentarsi, studiare, centellinare ogni informazione, e sempre sulla nostra testa c’è il pendolo che oscilla, e se sbagliamo…

Non è il caso di Elide Ceragioli.

L’autrice dimostra dalle primissime pagine di avere un’ottima conoscenza di come si viveva nell’età della Pietra, e ce ne accorgiamo subito. Sottigliezze come cuccioli al posto di figli, il fuoco-che-mangia-dentro al posto di una malattia. E poi l’uso di selci, frecce, archi, la conoscenza delle piante, di come si accende un fuoco, di che cosa si caccia.

Ogni tanto mi perdo in intricate elucubrazioni amletiche e penso al passato. Che cosa succedeva? Come si viveva? Che cosa si faceva? E quando leggo un romanzo storico voglio una risposta a ognuna di queste domande.

Se mi chiedo come si viveva all’età della Pietra, Elide Ceragioli mi risponde senza pensarci due volte. Il suo romanzo è anche la storia della nostra gente. È la storia di chi prima di noi ha affrontato situazioni che oggi ci sembrano paradossali ma prima non lo erano.

Eppure L’uomo che parlava alle pietre non è solo questo.

Questo lo troviamo anche in un libro di storia.

Il romanzo della Ceragioli è un inno alla famiglia, all’amore, al libero arbitrio.

Ola, Uta, Pua e Una rappresentano uno dei primi nuclei familiari mai esistiti. Rappresentano l’unità, la lealtà, la fedeltà. L’unione tra uomo e donna posta ai massimi livelli.

A me piace trovare il messaggio che l’autore lascia dietro le righe dei suoi romanzi. E sono convinta che Elide ha voluto parlarci, attraverso le vicissitudini di questa famiglia preistorica, di come i sentimenti che muovono il genere umano non siano mai cambiati. C’è sempre stato chi vuole farci del male, anche tantissimi anni fa. Come Taresh, l’uomo-sciamano, che è l’antagonista di tutto il romanzo.

E se oggi si agisce per fini quali fama, denaro, vendetta, prima questi fini venivano coperti dall’aurea di misticismo e mistero, laddove entità e spiriti muovevano le vite umane.

E così Pua ha un potere segreto, quello di parlare alle pietre, e Taresh coltiva il veleno della serpe, che lo avvolge nelle sue spire sino a corromperlo.

Il misticismo tipico delle tribù primordiali ammanta il romanzo, colorandolo di contorni suggestivi.

Un plauso all’autrice per le ambientazioni. Non sappiamo dove siamo, non ci sono nomi. Ma i luoghi sono così caratteristici che è come se li conoscessimo anche noi. La montagna, irta, ripida, aguzza, inospitale; il bosco, rassicurante, cupo, pericoloso; la radura, aperta, sconfinata, inintelligibile.

È sempre bello quando un autore, con poche pennellate, tratteggia la propria ambientazione, la rende visiva, viva, come se un quadro prendesse vita.

E la stessa cosa accade ai personaggi. Ti ci affezioni, fai il tifo per loro. Ti scappa anche qualche lacrima. Ed esulti se il male viene sconfitto; anzi, ti ritrovi a sperare che succeda — e quando io spero che il cattivo venga sconfitto è un evento da segnare sul calendario!

Un ultimo cenno sulla scrittura. Elide usa uno stile semplice, diretto, con pochi fronzoli. I dialoghi sono sporadici ma rappresentativi. L’azione (intesa come movimento, vita quotidiana) prevale. C’è spazio per qualche sprazzo introspettivo ma l’autrice lascia i personaggi liberi di raccontarsi attraverso quello che fanno.

Suggestive le illustrazioni di Elena che fanno sfondo a ogni inizio capitolo.

L’uomo che parlava alle pietre è la storia di tutti noi, è la volontà di prendere il sapere antico e tramandarlo. La volontà di gioire delle piccole cose dimenticando il resto. Io ne ho gioito, e spero che questa gioia l’abbia trasmessa anche nella recensione.

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