È così che finisce il mondo.

È iniziata la stagione della fine. Con un’enorme frattura che percorre l’Immoto, l’unico continente del pianeta, da parte a parte, una faglia che sputa tanta cenere da oscurare il cielo per anni. O secoli.

Comincia con la morte, con un figlio assassinato e una figlia scomparsa.

Comincia con il tradimento e con ferite a lungo sopite che tornano a pulsare.


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Dare un parere che non possa essere banale e scontato su questo libro è difficile.

Diamine, come ossido posso riassumere anche in poche righe le emozioni che ho provato leggendolo, l’atto compulsivo di voltare le pagine, l’ansia quando con la mente pensavo a cosa sarebbe successo e l’agitazione ancora maggiore quando l’ho terminato? E le dita che fremono in attesa di leggere il seguito?

Come vedi non ce l’ho fatta a scrivere in poche righe.

E nemmeno riuscirei a trovare un aggettivo che racchiuda tutto quanto è “La Quinta Stagione”.

Elettrizzante, fantastico, particolare, page-turner… no, nessuno di questi aggettivi ne rende l’idea, e sarei troppo banale se riducessi tutto a questo.

Cercherò allora di parlarti del romanzo della Jemisin come faccio di solito: invogliandoti a leggerlo.

Anche se sono certa che già adesso sarai incuriosito.

Però proseguiamo.

La trama è semplice ma complessa, e già questo è un primo campanello che spero ti farà drizzare le orecchie.

Una donna, Essun, si mette alla ricerca del marito Jija e della figlia Nassun, dopo che il primo ha barbaramente ucciso il figlio. Parallelamente scopriremo le vicende della piccola Damaya, condotta al Fulcro per essere addestrata all’orogenia, e di Syenite, che insieme ad Alabaster (oddio, quanto adoro questo folle personaggio!), lei quattro anelli e lui dieci, si recano alla città portuale di Allia per un controllo su dei coralli.

E già qui ti ho perso, lo so.

Orogenia, Fulcro, anelli… ma di che sto parlando?

Te l’ho detto che “La Quinta Stagione” è un romanzo complesso. E tutta la complessità sta proprio nella capacità di riuscire a entrare nel mondo creato dalla Jemisin, un mondo che ha le vaghe fattezze della nostra Terra ma che è molto oltre. O molto indietro, dipende dai punti di vista.

Un luogo chiamato Immoto e che ciclicamente viene squassato da fenomeni come tsunami, terremoti, tempeste, che lo riducono in cenere sulle quali i sopravvissuti dovranno ricostruire tutto. Questi eventi sono chiamati Stagioni, le Quinte Stagioni.

Ed è proprio alle soglie di una di queste che si apre il romanzo.

Essun, Damaya, Syenite… tre personaggi (ma… non svelo altro) accomunati da un unico aspetto: sono orogeni, ossia in grado di sentire (o sensire, come dicono loro) la terra e di “manipolarla”; chiedo venia ma non mi viene altro termine.

Il Fulcro è il luogo in cui vengono addestrati a questa abilità (diventando uno, due, cinque, dieci anelli a seconda delle potenzialità), che però non fa di loro degli eletti bensì dei reietti, dei rogga, come li chiamano sdegnosamente coloro che non hanno questa dote.

In effetti tutto il romanzo della Jemisin si può dire ruoti intorno a loro: a quello che pensano, a come vivono, a come devono sopravvivere. Con la minaccia di Padre Terra sempre latente.

La trama segue un ritmo davvero incalzante, grazie a una scrittura che va dritta alla pancia del lettore; una penna a volte cruda ma nondimeno pregna di emozioni.

Sì, subito ti sentirai sperso in questo vasto mondo che ancora non conosci, e ti chiederai che cosa accomuna Damaya, Essun e Syenite, a parte l’orogenia; perché ogni vicenda sembra slegata dalle altre.

Ma.

Continuando la lettura tutti i nodi vengono al pettine. Alcuni sono difficili da sbrogliare, ostici, e ti lasceranno in bocca un senso di straniamento, di sospensione… ma non è proprio quello che fa una trilogia?

Penso inoltre sia la prima volta (o una delle poche) che ho adorato tutti i personaggi, anche se, odio ripetermi, Alabaster è colui che mi ha afferrata di più. Pure i “cattivi”, definiamoli così, sono interessanti, e questo grazie alla penna della Jemisin che ha saputo caratterizzarli egregiamente in tutti i loro difetti — di eroi senza macchia e senza paura non ne abbiamo, mi dispiace, però abbiamo dei personaggi così dannatamente umani che ti sembra di conoscerli da sempre.

Davvero, ci sto pensando da quando ho iniziato a scrivere, ma proprio non riesco a trovare dei difetti in questo libro. E mi capita raramente. O forse mai.

L’unica cosa che posso dirti è di aprire il libro e lasciare che l’Immoto ti tragga a sé. Attento, però: rischi di non tornare più indietro.