Sono loro, sono arrivati!

I nuovi orrori grammaticali del XXI secolo!

Chissà se anche tu li commetti, o se li hai commessi…


Sbagliare è bello (?!)

Errare humanum est… ma perseverare è diabolico.

Lo senti dappertutto, vero? Eppure, è proprio così.

E questi nuovi orrori grammaticali sono talmente “perseverati” che molti li ritengono corretti, e magari incolpano te di sbagliare. Perché si sa, i memi sono come batteri, e si propagano…

Piuttosto che… cosa?

Ormai sono anni che assistiamo a un diluvio di “piuttosto che” usato con valore disgiuntivo, al posto di oppure, mentre invece il corretto utilizzo ha un valore puramente avversativo.

Mangio una mela piuttosto che una pera: mangio una mela e NON una pera > uso corretto

Mangio una mela piuttosto che una pera: mangio una mela OPPURE una pera > uso errato

Il “piuttosto che” viene anche usato come “sinonimo” di “oltre che”: mangio una mela piuttosto che una pera (mangio una mela OLTRE CHE una pera > uso errato)

È una costruzione che, sebbene presente dappertutto (un po’ come l’odioso a lavoro), non va bene, né all’orale né (soprattutto) allo scritto. Anche perché, in questo ultimo caso, usare il “piuttosto che” con valore disgiuntivo spesso crea confusione, con il rischio che l’intera frase non si capisca, o perda di significato.

Di cui ne

Oltre che essere una costruzione più tipica dell’orale (e di una scrittura trascurata), usare l’accoppiata “di cui” e “ne” è anche una tautologia.

Infatti, secondo la Crusca, il “ne”

[s]volge inoltre funzione di pronome personale o dimostrativo, preceduto da di/da: “non la conosco personalmente, ma ne (= di lei) dicono bene”, “chiuso l’affare, non volle più parlarne (= di esso)”, “ha visto il film e ne (= da esso) è stata impressionata.

Quindi, il “ne” implica già la presenza del “di cui”, semplificando all’estremo.

Ho visto un film e te ne parlerò (ti parlerò di questo film).

Il “di cui” ha lo stesso significato: ho visto un fil di cui ti parlerò (ti parlerò di questo film).

Qualcosa che lo si può fare

La ripresa pronominale del soggetto, nel nostro esempio “qualcosa”, nell’orale viene spesso usata, e anche nello scritto. In quest’ultimo caso, però, è un errore e, a meno di non dare enfasi con una dislocazione (usando le virgole: qualcosa che, statene pur certi, lo si può fare! Oppure: lo si può fare, qualcosa), va evitato.

Infatti, la frase sta in piedi senza “lo”: qualcosa che si può fare.

C’è da dire che la dislocazione di questo esempio e l’esempio precedente sono maggiormente accettati dai linguisti e dagli editor meno “grammarnazi”, poiché in entrambi i casi la ripresa pronominale o la tautologia potrebbero servire, come scrivevo, per enfatizzare un concetto.

Riguardo, inerente…

Errore invece da penna blu è “riguardo qualcosa” e “inerente qualcosa”.

Infatti, sia “riguardo” sia “inerente” reggono la preposizione “a”: riguardo a qualcosa e inerente a qualcosa. Purtroppo, anche questo errore è ormai frequente dappertutto, e purtroppo l’ho visto usare anche da persone che si dichiarano editor – e qui ribadisco che prima di contattare un editor bisogna verificare se almeno conosce le basi grammaticali e ortografiche.

Il passato che appartenevano

Errore bruttino, però anche questo molto frequente (e tipico non solo dell’oralità ma anche di un italiano molto informale e molto trascurato).

Nei complementi indiretti, però, il “che” viene sostituito dalla forma “cui”: a cui, di cui, con cui, per cui…

Il passato a cui appartenevano.

C’è da dire, comunque, che questa forma scorretta al giorno d’oggi (come tante altre), in passato veniva ammessa: Questo è il diavolo di che io t’ho parlato (G. Boccaccio, Decameron).

Conosci altri errori o usi impropri della lingua?

Scrivimelo nei commenti!