Poesie istantanee, che catturano oggetti, persone, momenti, ricordi; poesie come immagini in movimento in cui ciascuno vive secondo la propria natura e la propria storia individuale.
Poesie contemporanee e urbane che narrano di piccole cose, di periferie rugginose e di cieli sigillati, di caramelle rubate e di stellate invernali.
Poesie talvolta ironiche, mal-educate e invadenti, stancano mente e cuore e pongono domande senza attendere la risposta.
Poesie a verso libero, ad orecchio e alla mano: scriverle è quello che m’incanta!


Titolo: Seppie Ripiene – Poesie per poche lire

Autore: Monica Messa

Genere: raccolta di poesie

Editore: Independently published

Pagine: 99

Prezzo: 3,5 euro

Data di pubblicazione: 8 luglio 2018


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Ho di che scusarmi

per le precedenze non date

e per il broncio al risveglio

per i fogli scialati

per il lavoro sprecato

per i ritardi

le indecisioni

le ipocondrie

le sbavature

le indiscrezioni

gli anglicismi

le distrazioni freudiane

le carcasse mai abbandonate

le energie dissipate

le parole mancate

le mancanze affettive

gli insetti schiacciati

i fiori recisi

i libri sgualciti

il disordine atavico

il volume troppo alto

i rapporti non curati e appassiti

l’altruismo a salve

la stanchezza ostentata come un merito

le torte bruciate

i regali non impacchettati

i cibi surgelati.

Ho di che scusarmi

perché

abbraccio poco

ascolto meno

non prego più.

Ho di che scusarmi

per ciò che ho sprecato

per ciò che ho preso senza chiedere

per ciò che ho detto senza credere.

Ho di che scusarmi

perché disegno quadrati

per viverci dentro,

per le frenesie

antidoto alla morte,

per le malinconie malcelate,

l’apatia facile,

perché mi aggrappo

e non volo.

HO DI CHE SCUSARMI

Ciao, Monica! Parlaci un po’ di te.

La parola “ispirazione” me la mise in testa per la prima volta mia nonna, quando ancora frequentavo le scuole elementari, la cercai sul vocabolario e pensai che ogni tanto pure io ce l’avevo, l’ispirazione. Quindi cominciai a scrivere quel che mi veniva in mente, dove e quando capitava, andando a capo quando mi sembrava che il concetto lo richiedesse. Poi declamavo quei versi ai miei genitori e a mia nonna e loro pazientemente mi ascoltavano, annuendo. A un certo punto della mia vita, in un momento di estrema onestà intellettuale, pensai che al mondo c’erano già fin troppi scribacchini e che, se quello che scrivevo non aggiungeva niente di nuovo, sarebbe stato meglio tenerlo per me. Quindi, chiusi i miei componimenti in una scatola vuota di cioccolatini al cocco e mi laureai in Informatica. In realtà, per un periodo avevo pure pensato di iscrivermi alla facoltà di Filosofia, ma feci la scelta che mi sembrò più conveniente in quel momento e non me ne pento affatto. In fondo, l’informatica non è altro che una declinazione della filosofia con altri mezzi. Studiando e cercando di comprendere con fatica i teoremi e le teorie di matematici e logici quali Boole, Hilbert, Gödel, quelle materie che credevo aride e tostissime lasciavano intravedere i silenzi in cui le cose, s’abbandonano e sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto, talora ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità e mi rendevo sempre più conto che poi, alla fine, tutto converge: matematica, fisica, logica, informatica, filosofia, letteratura, sono tutti strumenti per descrivere, trattare, analizzare e studiare “La vita, l’universo e tutto quanto” e che, sì, la risposta alla domanda fondamentale è 42, ma questa è un’altra storia. Non ho solo studiato in quel periodo, ho letto, ho giocato ai videogames, tanto, ho frequentato alcuni newsgroup (i social dell’epoca), ho anche pubblicato qualche articolo freelance e, udite udite, sono riuscita a scovare uno sciroccato uguale a me, ci siamo innamorati e, finiti gli studi, ci siamo sposati. Abbiamo messo al mondo due povere creature, che cerchiamo di tirar su il meglio che possiamo, nonostante gli impegni e le nostre imperfezioni congenite. Qualche anno fa, ho riaperto la scatola di cioccolatini al cocco e ho riportato le poesie in formato elettronico. Così, è nato “Poesiole”, una raccolta di poesie ad orecchio e alla mano sui temi più vari e disparati. Dopo Poesiole, le poesie di “Seppie Ripiene” sono venute fuori quasi naturalmente, come se premessero per uscire ed io avessi scoperchiato il vaso di Pandora.

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Che cosa volete da questa poesia?

Un sorriso,una carezza,

una formula di vita,

uno specchio riflesso,

un volo su carta,

un razionale?

Oppure volete parole

un po’ molli

fatte di cenere grigia e ormai spenta

che parlino di letti sepolti da corpi

nidi d’amore,

fuochi di steppa?

O meglio

tramonti a strisce sui colli,

riva bagnata

che retrocede alle onde,

prati, orizzonti, lame profonde?

O infine cercate

radici non vostre,

ricordi soffiati

di vetro sottile,

frammenti di vite

dissolute e banali?

Non è compito delle mie parole

asciugare lacrime,

suturare ferite,

chiudere occhi,

riattaccare frammenti.

Occorrono

mani capienti

e piedi robusti

che ci trascinino

a forza

davanti a porte e cancelli.

Occorre

una carezza ben posta,

un po’ di tempo donato

e ad ogni richiesta, almeno risposta.

La poesia è in carico alla sera,

quando tutto

sottende il rischio già corso,

quando il respiro si fa quasi rosso.

Chiudete i pensieri,

prendete un bicchiere,

la luce già spenta;

la tenda spiegata

racchiuderà nell’onda, l’intera giornata

e si faran vividi

i singoli versi

di quella poesia

che ascolti con gli occhi

e pensi: è solo mia.

CHE COSA VOLETE DA QUESTA POESIA?

Quali libri e quali autori ti hanno ispirato?

Il titolo “Seppie Ripiene” contiene in nuce il senso dell’intera antologia. Difficile non notare l’allusione agli stessi molluschi che ispirarono il grande Eugenio Montale. Lungi da me voler accomunare i miei versi alle Poesie di uno tra i massimi Poeti italiani del Novecento o avere la pretesa di voler in qualche modo proseguire la sua celebre opera “Ossi di Seppia”. Questo titolo è piuttosto un tentativo, forse un po’ goffo, di omaggiare un Autore le cui poesie mi hanno accompagnata e ispirata per più di metà della mia vita e di cui ammiro la poetica essenziale, vera e priva di retorica. L’osso di seppia è l’umile cartilagine che risulta visibile solo dopo la decomposizione dell’animale, un detrito sbattuto dalla corrente, disidratato, prosciugato dall’azione corrosiva della salsedine, del vento, della natura. A me piace pensare che ora, a distanza di quasi un secolo, si possa cercare di catturare alcune di quelle seppie, mentre si muovono e guizzano ancora vive sui fondali bassi e sabbiosi, e riempire il loro ovale polposo di nuovi significati. L’intento di questa raccolta è quindi quello di realizzare una pietanza dal sapore nuovo e possibilmente gradevole, con gli elementi che riesco a tirar fuori dal mio piccolo paniere. Il suo gusto non potrà che rievocare la Puglia, la mia terra. Ho spesso considerato la poesia apolide ed io stessa ho sempre rifiutato qualsiasi tipo di appartenenza. Una città, una regione, una nazione mi sono sempre state strette, ho sempre preferito considerarmi cittadina del mondo. Però. Però ci sono parole che riescono a farti sentire a casa più di altre, che evocano immagini antiche e quasi dimenticate, in maniera involontaria e inevitabile. Parole che ho incontrato, per caso, nelle opere di Antonio Leonardo Verri. Ho letto della sua vita, ho apprezzato i suoi scritti, mi sono lasciata pervadere da tutto il suo meridione, e vi ho trovato dentro un po’ del mio. Un meridione raccontato con forza e con espressioni intrise di terra, di sabbia e di mare, semplici ed essenziali. Antonio Leonardo Verri, un uomo alto, dinoccolato e barbuto, che il 17 maggio 1991, decise di vendere per le strade di Lecce un foglio ciclostilato dal titolo: “Il Quotidiano dei Poeti”. Ne vennero prodotti dodici numeri, dal 17 al 30 maggio e, in molte città italiane, amici e collaboratori distribuirono quel foglio che non parlava di poesia, ma pubblicava quotidianamente poesia, perché interamente scritto e realizzato da poeti. Antonio Leonardo Verri, timido, determinato e geniale, intellettuale e poeta che si nutriva della tradizione popolare salentina e delle più audaci sperimentazioni a lui contemporanee. Antonio Leonardo Verri non c’è più, ci ha lasciato in un incidente automobilistico nel maggio del 1993, ma “forse la morte non porta via tutto”, aveva scritto lui stesso in occasione della prematura scomparsa di un altro poeta salentino , il magliese Salvatore Toma. Ci rimangono i suoi lavori, e il particolare il suo “Quotidiano dei Poeti”, impresa utopistica, folle, che diede a Verri e al Salento due settimane di notorietà nazionale e che realizzò rispettando il suo Manifesto Poetico, di cui vi lascio un estratto:

Spedite fogli di poesia, poeti

dateli in cambio di poche lire

insultate il damerino, l’accademico borioso

la distinzione delle sue idee

la sua lunga morte,

fatevi poi dare un teatro, un qualcosa

raccontateci le cose più idiote

svestitevi, ubriacatevi, pisciate all’angolo del locale

combinate poi anche voi un manifesto

cannibale nell’oscurità

riparlate di morte, dite delle baracche

schiacciate dal cielo torvo,

delle parole di Picabiadelle rose del Sud,

della Lucerna di Jaccadella marza per l’innesto

della tramontana greca che viene dalla Russia

del gallipolino piovoso (angolo di Sternatia)

dell’osteria di De Candia (consacratela a qualcosa!).

Osteggiate i Capitoli Metropolitani, poeti

i vizi del culto, le dame in veletta, “i venditori di tappeti”

i direttori che si stupiscono, i direttori di qualcosa,

i burocrati, i falsi meridionalisti

(e un po’ anche i veri) i surrogat

ile menzogne vendute in codici, l’urgenza dei giorni sfatti,

non alzatevi in piedi per nessuno, poeti…

se mai adorate la madre e il miglio stompato

le rabbie solitarie, le pratiche di rivolta, il pane.

Ecco. Fate solo quel che v’incanta!

Fate fogli di poesia, poeti

vendeteli e poi ricominciate.

Fatevi disprezzare, dissentite quanto potete

fatevi un gazebo oblungo, amategli sciocchi artisti beoni, i buffoni

le loro rivolte senza senso

le tenerezze di morte, i cieli di prugna

le assolutezze, i desideri da violare, le risorse del corpo

i misteri di donna Catena.

Fate fogli di poesia, poeti

vendeteli per poche lire!

Davanti a un invito così perentorio, non ho potuto far altro che raccogliere e pubblicare questi miei fogli di poesia. Non fogli di carta ciclostilati, autoprodotti, distribuiti agli angoli delle strade, ma un libro elettronico (che all’occorrenza può diventare cartaceo) in grado di raggiungere istantaneamente chiunque abbia voglia di leggerlo, per pochi spiccioli, appunto. Poesie istantanee, che catturano oggetti, persone, momenti, ricordi; poesie come immagini in movimento in cui ciascuno vive secondo la propria natura e la propria storia individuale.Poesie contemporanee e urbane che narrano di piccole cose, di periferie rugginose e di cieli sigillati, di caramelle rubate e di stellate invernali. Poesie talvolta ironiche, mal-educate e invadenti, stancano mente e cuore e pongono domande senza attendere la risposta.Poesie a verso libero, ad orecchio e alla mano: scriverle è quello che m’incanta! Antonio Verri e Eugenio Montale sono due Poeti che hanno vissuto in epoche e in realtà molto diverse, anche geograficamente, ma che sento vicini e affini al mio modo di intendere e di far poesia; credo che non si siano mai trovati insieme a suggerire il titolo di un’antologia che, oltre tutto, ha per copertina un murales fotografato a San Francisco nell’Agosto del 2009. Spero non me ne vorranno!

kellepics/Pixabay

Non può, Signora, non provare

questa maschera rilassante e antietà,

leviga le rughe,

scolpisce il sorriso,

donerà alla sua pelle gran tonicità.

Contiene una formula speciale

con ingredienti naturali e nutrienti

colti da mani piccole e sapienti,

direttamente dall’orizzonte degli eventi.

Se usata con costanza e con pazienza,

riporterà indietro il tempo in un istante

e lei si ritroverà, carina e pettinata,

al suo stesso banco di scuola,

giovane e pimpante.

Io la guardo titubante

e poi penso

che a riavvolgere quel nastro

non ci tengo.

Mi tengo le mie rughe

e le macchie del tempo,

qualche rimpianto

e un po’ di nostalgia,

ma non cedo

così a poco prezzo

le altre vite che ora si intrecciano alla mia.

MASCHERA ANTIETA’

Progetti futuri?

Sto lavorando ad una raccolta che comprenderà le poesie di Poesiole e Seppie Ripiene, più alcuni inediti.


Sono nata il 6 Novembre 1974, a Monopoli, una ridente cittadina di mare, a sud di Bari. Ho vissuto in vari posti, rimanendo però sempre in provincia del capoluogo pugliese. Scrivo poesie da quando ero bambina, ma i miei componimenti sono rimasti chiusi in una scatola di cioccolatini al cocco per tanti anni, durante i quali mi sono laureata in Informatica, ho letto, giocato ai videogames, ho frequentato alcuni newsgroup, ho anche pubblicato qualche articolo freelance, mi son sposata e, insieme al MaritoMartire Arcangelo, abbiamo messo al mondo due figli. In tutto questo periodo però non ho mai smesso di buttare giù qualche verso. Qualche anno fa, ho tirato fuori la scatola di cioccolatini al cocco e ho ricopiato le poesie in formato elettronico. Così, con l’aiuto del mio Editore nonché MaritoMartire, nel Gennaio 2018, ho pubblicato “Poesiole”, una raccolta di poesie sui temi più vari e disparati, scritte nell’arco di quasi 30 anni. Pubblicare “Poesiole” è stato come aprire un vaso di Pandora e ha riacceso in me la voglia di scrivere. Il risultato è stata la raccolta Seppie Ripiene.