Terzo “appuntamento” con i consigli di scrittura di Umberto Eco, che commenterò brevemente.

Qui trovi la prima parte e qui la seconda.


Consiglio numero 11: sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”

Soprattutto nei romanzi, troppe citazioni danno fastidio, alla lunga. Diverso è ovviamente il caso dei manuali e dei saggi, dove le citazioni sono invece doverose (sempre con riferimento ad autore e testo in nota a piè di pagina).

Emerson ha ragione (e pure Eco): dimmi solo quello che sai tu.

La storia è dell’autore che la scrive, e soprattutto le vicende sono dei personaggi che le vivono.

Non di altri, né tanto meno di autori famosi che magari piace citare per ingrandire l’ego.

Consiglio numero 12: i paragoni sono come le frasi fatte.

In altre parole: limitare, limitare, limitare.

Scegliere paragoni, oppure metafore, è sempre bello e arricchisce un testo, ma non bisogna esagerare, né nel numero e né tanto meno nella qualità.

Lessi tempo fa la descrizione di un personaggio in cui ogni aspetto fisico era “come”. Le mani erano grandi come… il viso era bianco come… gli occhi come… e via dicendo. Forse l’autore aveva voluto, facendo così, dare più visività al personaggio, ma in realtà era un cumulo di paragoni che oltre a non dire nulla appesantivano la narrazione.

Medesimo discorso per la qualità dei paragoni: meglio evitarli se ciò rischia di confondere il lettore. (Hai mai letto impallidire come un limone? Io sì, e l’ho anche scritto, mannaggia! Fortuna che l’editor mi ha subito ripresa!)

Consiglio numero 13: non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).

Le ridondanze sono tipiche di una scrittura incerta: poiché ha paura che il lettore non capisca, lo scrittore ripete lo stesso concetto più volte.

Ad esempio, durante la narrazione, una frase dice che Mario è stanco perché la notte non ha dormito; e la frase dopo ripete la stessa cosa con parole diverse (Mario è esausto a causa dell’insonnia).

Oppure in un dialogo si ripete la stessa cosa che è stata scritta in precedenza: Mario vide Maria e le chiese se fosse uscita la sera precedente. “Sei uscita ieri sera?” Più sottile: Mario vide Maria. “Sei uscita ieri sera?” Con quella domanda Mario aveva voluto sincerarsi che Maria fosse uscita.

Consiglio numero 14: solo gli stronzi usano parole volgari.

Ammetto di non approvare del tutto questo consiglio di Eco, perché soprattutto in storie dove la focalizzazione è interna al personaggio è normale usare il turpiloquio se questo personaggio è volgare.

Certo è che se ogni frase è frammezzata di “cazzo”, “stronzo”, “merda”, la situazione inizia a degenerare…

Consiglio numero 15: sii sempre più o meno specifico.

Sai come rendere la tua scrittura più incisiva?

Ecco, parti proprio da qui.

Scrivi le cose come stanno, senza mezzi termini.

Un po’, quasi, un tantino, un pizzico, più o meno, forse… aboliscili!

Ed evita anche vocaboli passepartout come cosa, problema, il tutto, la situazione…

E, anche, rivedi ogni passaggio in cui sei stato troppo generico: il prato era puntellato di fiori colorati. Quali fiori, di che colore?

Se c’è un vocabolo specifico, perché non usarlo?

Consiglio numero 16: l’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.

Secondo Treccani, l’iperbole è: “In retorica, figura consistente nell’esagerare per eccesso (è un secolo che aspetto!te l’ho dettote l’ho ripetuto mille volte), o per difetto (berrei volentieri un goccio di vino);

È sempre meglio non esagerare con questa figura retorica, soprattutto se si ricade in luoghi comuni.

Mario è bello da morire, abbracciare qualcuno come se non ci fosse un domani, aspettare una vita il principe azzurro

Per rendere la tua scrittura più incisiva, di nuovo, non cadere nei cliché e, di nuovo, usa parole tue, non degli altri.

Consiglio numero 17: non fare frasi di una sola parola. Eliminale.

Anche in questo caso, mi perdonino, non sono del tutto d’accordo.

Spesso è quella sola parola, isolata da due punti, a dare enfasi al testo.

Il personaggio può trovarsi in una situazione tesa, di forti emozioni, e solo quella singola parola, isolata, da sola riesce a esprimere di più di due o tre frasi.

Ovviamente, le esagerazioni non sono mai gradite.

Consiglio numero 18: guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.

Ricordi cosa ho scritto poco fa a proposito dei paragoni che “peccano” per qualità?

Lo stesso vale per le metafore.

Possono essere belle, originali, possono essere tutto quello che vuoi, ma se il lettore non le capisce può provare confusione.

E non so te, ma io ho sempre paura dei lettori confusi.

Consiglio numero 19: metti, le virgole, al posto giusto.

… anche perché le virgole sbagliate non sono soltanto un enorme errore grammaticale, ma spesso confondono (di nuovo!) il senso di quello che vuoi dire, e spesso, soprattutto se un testo è zeppo di virgole errate, rendono la lettura pressoché impossibile.

Della serie: l’editor va su Trova –> Sostituisci, e alla virgola sostituisce uno spazio, per poter così ricostruire il testo. (Mi è capitato.) Oppure l’editor, proprio a causa di virgole sbagliate che confondono, travisa l’intero testo, e poi l’autore si accanisce contro di lui perché non ha capito un’acca. (Ed è capitato anche questo.)

Consiglio numero 20: distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.

C’è chi non li usa e chi abbonda.

La scelta è dello scrittore, ma se si sceglie di usare il punto e virgola, o di usare i due punti, è bene sapere come farlo correttamente.

Anche perché, pure in questo caso, il rischio è di creare confusione.

E noi non vogliamo un lettore confuso…