I consigli di scrittura di Umberto Eco (parte seconda)

Navigando qua e là su internet alla ricerca di consigli di scrittura, mi sono imbattuta un po’ di tempo fa in quelli di Umberto Eco, che con il suo tono ironico e schietto riesce più di altri autori a farci capire come scrivere meglio.

Siccome non mi va che il mio articolo sia solo un copia e incolla di altri, cercherò di dare anche una breve spiegazione per ogni consiglio.

Questa è la seconda parte sui consigli di scrittura di Umberto Eco.

Se ti sei perso la prima, ecco il link:

I consigli di scrittura di Umberto Eco (prima parte)

Consiglio numero 6: ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso

Usare di frequente le parentesi, in effetti, può causare antipatie… visive.

Pensaci bene: quante volte quelle fastidiose parentesi ti hanno annoiato o, peggio, hanno affaticato la tua lettura, facendoti perdere il filo?

Soprattutto quando si tratta di parentesi che racchiudono periodi molti lunghi, che sai quando iniziano ma poi ti perdi per strada.

Ricordo i numerosi testi universitari, spesso pieni di parentesi. La metà delle cose che leggevo entravano da una parte e uscivano dall’altra; sì, magari erano noiose, ma le parentesi appesantivano di molto l’intero discorso.

Quindi: se puoi, evita di usare troppe parentesi. Se devi inserire un inciso per spiegare qualcosa, magari usa le virgole o, se ce ne sono già troppe sul testo, spezzettalo.

Consiglio numero 7: stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione

Di questo ne avevo già diffusamente parlato in un mio articolo sui puntini di sospensione.

Uno degli errori più frequenti dello scrittore, soprattutto se esordiente, è infarcire il proprio testo e i dialoghi di puntini sospensivi.

I puntini di sospensione, in un dialogo, indicano una reticenza, una frase lasciata in sospeso. In caso contrario, sono da evitare.

Riporto l’esempio del mio precedente articolo, in modo da darti un’idea:

Mattia lo raggiunse. Si sedette accanto a lui, passando le mani sul tessuto dei jeans.
«È tutta una merda, Mattia…», disse Piero. «Quando sei in un pozzo completamente ricoperto di merda, non puoi risalire…».
«Tutti risalgono, prima o poi…». Mattia continuava a lisciarsi i pantaloni. «Una volta sul fondo, non puoi che risalire…».
«Non se sei già annegato… e io sono annegato da tempo…».
«Non è vero…».
«Lo è…».

Come hai notato, questa ripetizione di puntini di sospensione è davvero antipatica. O entrambi i protagonisti sono reticenti (ma non sembra), o forse è meglio evitare questa sovrabbondanza di puntini.

E non è nemmeno il caso che ti dica che i puntini di sospensione vanno usati SEMPRE e SOLO in numero di tre, vero?

Consiglio numero 8: usa meno virgolette possibili: non è “fine”

Per quanto concerne l’utilizzo delle virgolette, come nel caso dei puntini di sospensione, è preferibile inserirle il meno possibile.

Le virgolette alte doppie (“”) vengono usate nei dialoghi, nei pensieri (al posto del corsivo), e per identificare un dialogo nel dialogo se si scelgono le caporali.

Secondo le norme redazionali di Vocifuoriscena, le virgolette vanno usate anche:

  • nelle citazioni,
  • quando si cita una parola in quanto tale,
  • quando si cita una parola in senso ironico, figurato,
  • nelle espressioni gergali (ma non sempre),
  • per i capitoli interni o di altri volumi citati,
  • per titoli di giornali, riviste, collane
  • per nomi di negozi, alberghi o ristoranti particolarmente complessi.

Cerca di limitarti, quindi, a usare le virgolette solo in questi casi.

Se vuoi dare enfasi a una parola, puoi anche usare il corsivo, sempre senza esagerare.

Consiglio numero 9: non generalizzare mai

Generalizzare, ossia, per dirla in parole più semplici, parlare e scrivere senza scendere nei particolari, genera una scrittura poco efficace. 

Perché essere generici quando abbiamo una mente piena di immagini, suoni e odori?

A tal proposito mi voglio allacciare brevemente alla questione degli aggettivi in scrittura.

Appena iniziamo a scrivere (ma purtroppo a molti capita anche dopo anni), abbiamo la tendenza ad “aggettivare” numerosi concetti, perché forse non riusciamo a esprimerli meglio, o non ne abbiamo voglia.

Scrivere, ad esempio: “Mario scese dall’auto. Davanti a lui si estendeva una magnifica villa”, che cosa ci induce a pensare? Che cos’abbiamo davanti? Quale immagine si para innanzi ai nostri occhi?

Sì, sappiamo che la villa davanti a Mario è magnifica, ma lo sappiamo perché lo scrittore ce lo ha detto. Magari a noi fa schifo.

Orbene: evita di arroccarti su aggettivi e spiega perché, ad esempio, la villa vista da Mario è magnifica. Descrivila. Mostra alcuni dettagli.

Non generalizzare, appunto.

Consiglio numero 10: le parole straniere non fanno affatto bon ton.

Ti prego, aiutami anche tu nella mia crociata contro i forestierismi!

La nostra lingua è così bella, perché sporcarla con parole straniere? Le nostre non sono forse belle ugualmente?

Se proprio non è necessario, usa l’equivalente italiano, che tanto in un romanzo ci sta bene, anzi, ci sta ancora meglio del forestierismo. 

Usa le parole straniere solo se necessario, appunto. Quelle entrate ormai nel lessico comune lasciale stare, ma se proprio puoi evitare, negli altri casi ricorri all’italiano.

Soprattutto, ad esempio, se stai scrivendo un fantasy: che c’azzecca la parola straniera?

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