L’editor quando muore

Ebbene sì: anche un editor può morire… professionalmente parlando, s’intende.

È una situazione bruttissima, e spero non ti accada mai se hai scelto questa strada.

Ma non si tratta di una morte scaturita dalla rinuncia a questo lavoro per un altro, o perché si scelgono altre strade o perché la concorrenza è così agguerrita che lasci perdere.

È l’autore con cui lavori a ucciderti.

Foto di ddzphoto da Pixabay

Editor e scrittore

In un precedente articolo mi ero soffermata sul rapporto (a volte burrascoso) tra editor e scrittore.

Sì, perché non sempre quella tra editor e scrittore è una storia che scorre dritta come una linea, ma spesso accade che vi siano curve a gomito, e talvolta enormi sassi a bloccare la strada.

E accade pure che la via s’interrompa in un burrone, e che l’editor non faccia in tempo a frenare…

Mi viene in mente, chissà perché, una delle tante partite a Mortal Kombat che facevo da bambina: quando uno dei due moriva, cadeva su un prato di pietre appuntite che lo trafiggevano.

Ecco, la morte dell’editor è un po’ così.

Ma cosa accade, di preciso?

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Houston, abbiamo un problema…

Che editor e scrittore spesso non vadano d’accordo lo abbiamo capito.

È normale, comunque: sono due teste che pensano e agiscono in maniera diversa, e lavorare su un libro (e trovare la quadra) è difficile.

L’editor ha sì una cassetta degli attrezzi con cui aggiustare una storia, ma non sempre sono quelli giusti, oppure lo sono ma al testo non vanno bene. Oppure sono proprio sbagliati.

Insomma, chi è editor sa che non c’è una regola A da applicare a B e una regola C che va sempre bene con Z. Ogni testo ha le sue difficoltà e richiede competenze di volta in volta differenti.

In questo caso, è normale che quanto corretto dall’editor all’autore possa non andare bene, perché magari suona male o non è ciò che lui intendeva.

E qui basta arrivare a una soluzione comune; non sempre con facilità, ma ci si arriva.

L’editor è sul ciglio del burrone, ma riesce a salvarsi.

A volte cade.

Mi sembra di cadere

Correggendo per la seconda tornata di riletture un testo, qualche mese fa, mi sono accorta che erano rimasti alcuni errori. Non refusetti, ma veri e propri orrori di ortografia e punteggiatura (“La penna, è di Mario? Si”).

Al che, dopo un attimo di gelo nelle ossa e una tirata ai capelli e un pensiero tipo oddio ma come ho corretto, sono andata a ripescare le prime bozze, per controllare se davvero ero stata così idiota da non vedere errori grandi come grattacieli.

E infatti li avevi visti. Visti e corretti.

Solo che nel testo inviatomi dal writer c’erano di nuovo.

Qui ti poni due domande.

La prima: possibile che accettando le revisioni, abbia scordato per strada qualcosa?

Fattibile, se le revisioni sono tante e l’autore fa una lettura veloce.

La seconda: ma non è che un autore pensa che abbia sbagliato io e sia nel giusto lui?

E qui l’editor cade.

Perché se un autore a cui ha corretto un libro, e di cui ha rivisto anche la grammatica, pensa che “si” sia corretto anziché “sì”, e che il congiuntivo vada ad minchiam o le virgole si posino sul foglio dove va, va… allora è la morte dell’editor.

Foto di Ronny Hvass da Pixabay

È stato un (dis)piacere conoscerti

Pensaci bene.

Come ti sentiresti se, dopo aver lavorato alacremente su un testo, magari sforzandoti di far capire all’autore che questo è giusto e quello è sbagliato, questi non solo non ha capito, ma pretende d’insegnare a tela nuova grammatica dell’itagliano?

Soffocato in un oceano di feci… per non essere volgari.

Certo, c’è l’editor che se ne frega, ricorregge, e se poi nella testa dell’autore l’errore proprio non vuole entrare, va be’, pazienza e arrivedorci.

Io invece mi arrabbio. E che diamine, sono pagata perché il tuo libro sia ben scritto, quindi per favore alza il culo da dove sei e studia ‘ste quattro regoline!

Ogni volta che devo passare e ripassare su errori banali, e soprattutto ogni volta che la persona con cui lavoro fa orecchie da mercante… be’, mi sembra davvero di morire professionalmente.

A che è servito il mio lavoro? A prendere du’ soldi, sì, ma mica sono tutto. Non dico che per uno scrittore vorrei essere un mentore, ci mancherebbe, ma almeno lasciare qualcosa.

Non so dirti se c’è rimedio per questi autori testoni, ma quello che posso consigliarti, se mai ti capitasse d’imbattertici, è di portare pazienza. Tanta pazienza.

Del tipo che, alla fine, la statua te la costruisci da solo.

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