Editare (nel senso datogli correntemente da chi fa l’editing di un testo): rivedere, correggere, revisionare, sistemare…

Ecco: già da questo verbo (che comunque Treccani definisce come atto di pubblicazione di un libro, dall’inglese to edit) abbiamo capito che dare una definizione di editing è complesso. Zingarelli ci aiuta poco: la seconda accezione di editare è: fare l’editing di un testo.

Per fortuna, però, sempre Treccani ci viene in aiuto definendo precisamente che cosa è l’editing.

Da qui parto per analizzare in modo più approfondito un lavoro che spesso (troppo) si dà per scontato.


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“Edito”, quindi sono…

Chiedo scusa già in anticipo se qualche lettore si sentirà preso in causa o se ciò che scriverò urterà la sua sensibilità. Ma sono davvero stufa di leggere commenti e articoli confusionari che altro non fanno che gettare ancora più confusione su una professione che già di suo spesso è sottovalutata (e non capita). Come sono stufa di leggere testi apparentemente “editati” (con relativo nome e cognome in colophon). Apparentemente, appunto.

Torniamo a Treccani. Il dizionario ci dice che l’editing è:

In editoria, cura redazionale di un testo per la pubblicazione, cioè lettura attenta intesa a verificare la correttezza di ortografia, grammatica, sintassi, l’organizzazione strutturale del testo e la sua coerenza interna, l’adeguatezza dello stile, l’esattezza e la rispondenza alla realtà delle asserzioni scientifiche, storiche, ecc. 

Zingarelli è invece più generico:

(edit.) L’insieme delle operazioni di correzione, revisione e montaggio per la pubblicazione di un testo […].

Focalizziamoci sulla definizione di Treccani.

Possiamo dividerla in due macro-categorie:

1) lettura attenta a verificare la correttezza di ortografia, grammatica, sintassi, l’organizzazione strutturale del testo e la sua coerenza interna, l’adeguatezza dello stile: quello che io definisco micro-editing;

2) … l’esattezza e la rispondenza alla realtà delle asserzioni scientifiche, storiche, ecc.: macro-editing.

Quindi, generalizzando (anche se non mi piace), “editare” un testo è rivedere grammatica, ortografia, stile, struttura, validità delle argomentazioni e degli argomenti e, estendendo alla narrativa, validità della trama, dell’intreccio, dei personaggi…

Le definizioni sono comunque tra le più disparate, quello che conta è che l’editing comprende ciò che io definisco (non perché voglia vantarmi o altro, ma per semplicità terminologica) micro e macro-editing.

Le comprende, appunto.

Perché, allora…

… numerosi testi apparentemente “editati” presentano delle lacune a livello micro o macro (o ahimè entrambi)?

L’editor deve occuparsi di tutto. Certo, spesso offre servizi mirati a livello micro o macro, ma se gli viene richiesto un intervento di editing completo, il testo dovrà essere rivisto (corretto, sistemato, “editato”…) nella sua globalità.

Ossia, a livello di architettura narrativa E a livello ortografico-grammaticale.

L’editor non deve aver paura né di segnalare eventuali criticità a livello macro, né di intervenire sul testo (o con commenti a margine, o con evidenziazioni, l’importante è che intervenga!) se una virgola rende il periodo ambiguo, o se c’è un errore grammaticale.

È pagato per questo.

E se io pago cinquecento, settecento, mille euro, diavolo, voglio un lavoro completo (sempre, come scrivevo prima, se ho richiesto l’editing completo e non, che so, un controllo sintattico, ortografico e grammaticale). Non voglio dover poi contattare un altro editor perché termini il lavoro di un collega. Né che l’editore o il redattore editoriale debbano rimetterci mano (fatto salvo per adeguare il testo alle norme editoriali).

Se io, editore (e qui parlo anche da curatrice della collana Policromia), ricevo un testo di cui mi si dice che è stato già “editato”, non voglio sistemarlo, perché do per scontato che sia già perfetto così com’è (la realtà ahimè è diversa).

Confusione, negligenza, passatempo…

La confusione su cosa sia davvero l’editing esiste ancora ed esisterà sempre. Fortuna che rispetto a qualche anno fa gli scrittori hanno decisamente le idee più chiare su chi sia l’editor (anni fa, quando ho iniziato la professione, spesso mi sentivo dire: “Ma io nemmeno sapevo esistesse l’editing”).

Poi c’è l’ampia fetta di chi (come in tutte le professioni) svolge l’editing in maniera negligente, addirittura ad minchiam (scusami, eh, ma era il termine che più si avvicinava al mio sentire), vuoi perché lo faccia come passatempo (il lavoro principale gli dà uno stipendio, ma “edita” per raggranellare qualche euro in più), vuoi perché lo faccia velocemente (magari facendosi pagare poco: lavoro in fretta, prendo tanti “clienti” e a fine mese ho un fisso decente).

Fatto sta che girano dappertutto libri mal “editati” (dappertutto, eh: nel self-publishing come nell’editoria tradizionale, piccole, medie E grandi case editrici), e tu non hai ancora capito perché hai speso quindici euro, quando potevi impiegarli meglio.

Eh sì, perché alla fine chi ci rimette è sempre lui: il lettore.

Lettore che investe tempo e denaro in un testo altrui (tralascio chi li scarica illegalmente), per poi ritrovarsi un prodotto scadente. E non serve scrivere recensioni/opinioni negative, sollecitare lo scrittore o l’editore a correggere, segnalare la bassa qualità del testo: ci sarà sempre chi lo acquisterà comunque, da una parte, e dell’altra spesso queste richieste o espressioni di disagio rimangono inascoltate (un editore se ne frega, un autore spesso anche, o altrettanto spesso crocifigge la recensione/opinione e chi vi è dietro perché no, io non sbaglio mai, oppure crocifigge lo stesso editor, perché è lui che ha corretto il libro, quindi la colpa è sua – ma lo stesso autore aveva la facoltà e il diritto, e il dovere, di sincerarsi prima chi avrebbe pagato).