Come rendere la tua scrittura più incisiva (parte seconda)

Il problema che hanno molti autori, soprattutto emergenti, è di non riuscire a esprimere al meglio quanto hanno dentro.

Il più delle volte è la fatica di tradurre su carta i propri pensieri, che si risolve in frasi difficili da leggere e da digerire.

In questa seconda parte di una breve guida, ti mostro come rendere la tua scrittura più incisiva.


dried flowers with printed text
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Cappellino introduttivo (rappel!)

Cappellino introduttivo

Essere più incisivi non lo diventi in due ore, e nemmeno in due anni. È un processo che dura tutta una vita, ma che presuppone la tua voglia di metterti in gioco.

In altre parole, se ti senti “già arrivato” e ritieni di sapere tutto quello che c’è da sapere, allora questo articolo non fa per te… e non so nemmeno se lo sia la scrittura, perché tutti (e inserisco anche me come creativa e editor) hanno sempre qualcosa da migliorare, anche lo scrittore più bravo e famoso (che non sempre è la medesima persona).

Se invece ritieni di voler apprendere qualcosa in più, anche una sola minuzia, armati di penna e blocchetto e inizia a prendere appunti!

Semplificare è meglio

Quante volte ti impelaghi in un concetto arzigogolato che rileggendolo ti rendi conto di non capire nemmeno tu cosa intendevi? A me un sacco di volte.

A volte sono solo frasi che puoi sostituire tranquillamente con un sinonimo (ma fai attenzione perché sebbene si chiamino sinonimi spesso non lo sono!), altre volte è bene rivedere tutto il periodo per alleggerirlo.

Alcuni esempi:

Tutti e due: perché non mettere semplicemente entrambi?

Mario venne chiamato per essere interrogato: perché non mettere semplicemente “Mario venne chiamato per l’interrogatorio”?

Del tutto e amici: “Era del tutto contento del fatto che Mario fosse andato a trovarlo”. Perché non mettere solo era contento che “Mario fosse andato a trovarlo?” La frase guadagna in incisività.

Con fare, con la speranza, con lo scopo di e affini: “Mi scrutò con fare guardingo.” Più semplice: “Mi scrutò guardingo.” Oppure: “Scrisse a Luigi con la speranza che rispondesse.” Qui anche un gerundio (sebbene antipatico perché come hai visto nella prima parte tende ad appesantire) non suona male e alleggerisce: “Scrisse a Luigi sperando che rispondesse.” Oppure si stacca la frase: “Scrisse a Luigi. Sperava che gli rispondesse”. E ancora: “Fiorella prese l’auto con lo scopo di andare a trovare la madre.” Meglio, decisamente: “Fiorella prese l’auto per andare a trovare la madre.”

Se puoi dire qualcosa con meno parole, e il lettore comunque capisce, fallo. La tua scrittura sarà più incisiva e meno difficile da leggere.

Tag dialogue solo quando servono

Spesso, soprattutto in dialoghi lunghi, alcuni autori hanno la tendenza a infarcirli di tag dialogue, o incisi. Questo non è male; anzi, serve a spezzare il dialogo. Però il tag dialogue deve servire, ad esempio per mostrare cosa sta facendo il personaggio mentre parla (poiché si presume che non stia fermo a guardare il suo interlocutore). In caso contrario, un tag dialogue appesantisce ancora di più.

Ecco un esempio.

«Penso che non sia così facile» disse Mario. «Anzi, la vedo davvero dura. Mia madre è difficile da convincere, lo sai» continuò «ed è difficile da convincere quando si tratta di vendere qualcosa di suo. Ricordo» proseguì «quando volevo a tutti i costi convincerla a vendere la sua casa per trasferirsi da noi. Diamine» sbottò «lo facevo per il suo bene! È anziana e io sono distante, è normale mi preoccupi che viva da sola. Quindi la vedo dura riuscire a convincerla. Vendere le sue collane di perle sarà ardua» concluse.

Come noti, a parte il primo, che ci identifica chi sta parlando, gli altri tag dialogue servono poco o niente. Meglio rimuoverli oppure al loro posto inserire qualche azione di Mario, sempre legata a ciò che ha intorno (perché se metti sorrise, sospirò, deglutì va benino, nel senso che è sempre meglio far interagire un personaggio con l’ambiente che lo circonda).

Ad esempio:

«Penso che non sia così facile.» Mario si sedette sul divano. «Anzi, la vedo davvero dura. Mia madre è difficile da convincere, lo sai.» Dalla tasca dei jeans estrasse un pacchetto di Malboro. «Ed è difficile da convincere quando si tratta di vendere qualcosa di suo. Ricordo» si accese una sigaretta e il fumo si sollevò nella stanza «quando volevo a tutti i costi convincerla a vendere la sua casa per trasferirsi da noi. Diamine.» Diede una manata sul bracciolo, la sigaretta a un lato delle labbra. «Lo facevo per il suo bene! È anziana e io sono distante, è normale mi preoccupi che viva da sola. Quindi la vedo dura riuscire a convincerla. Vendere le sue collane di perle sarà ardua.» Scosse la testa e spense la cicca nel posacenere sul mobiletto accanto al divano.

Un dialogo che mostra anche come interagiscono i personaggi tra di loro e con ciò che li circonda è più reale e verosimile rispetto a uno in cui si muovono in un mare di nulla come talking heads, teste che sembrano sospese nella nebbia.

Riuscire a, provare a, cominciare a…

Non so te, ma io quando trovo questi acari mi indispettisco. Forse perché, come per quelli della polvere, ne sono allergica.

Queste strutture vengono utilizzate, in un certo senso credo, per indicare l’avvio di un’azione. Va bene, non è un errore, però perché scrivere l’avvio di un’azione quando è molto più incisivo scrivere direttamente l’azione?

Mi spiego meglio con qualche esempio.

Mario provò a chiamare Luigi, e quando rispose gli disse di correre da lui.

Innanzitutto se usiamo il verbo provare diamo subito l’idea che proviamo a fare qualcosa e magari questa cosa non riesce: “Mario provò ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave.” Nell’esempio di cui sopra, se Mario prova a chiamare Luigi mi viene subito in mente che lui non risponda, e non che risponde. Meglio allora andare direttamente al dunque: “Mario chiamò Luigi e gli disse di correre da lui.” Via anche il “quando rispose”, è implicito che lo fa se poi Mario gli dice di correre da lui. Idem con un verbo come tentare.

Altro esempio: “Ho scritto questo manuale per riuscire ad aiutarti a promuovere il tuo libro su Instagram/Facebook…”

Già se leggo “riuscire ad aiutarti” mi viene da pensare che forse non ce la farai. E poi la frase è troppo macchinosa, piena di preposizioni che non servono. Meglio: “Ho scritto questo manuale per aiutarti a promuovere…”

Infine, l’usatissimo “cominciare a” e sinonimi (ad esempio: iniziare).

Mario iniziò a correre verso casa.

Perché specificare l’avvio dell’azione? C’è un motivo? Se non c’è, meglio anche qui andare al dunque: “Mario corse verso casa.” Se invece c’è un motivo, ad esempio “Mario iniziò a correre verso casa ma inciampò”, allora il verbo iniziare ci sta già meglio.

Anche in questo caso, se puoi dire qualcosa con meno parole, fallo. Usa più parole solo quando serve.

Esplicitare

Ossia: scrivere qualcosa che è già implicito.

Simile a quando ripeti un medesimo concetto, come hai visto nella prima parte di questa guida, ma con qualche sottigliezza in più, spesso più difficile da scovare.

Dopo aver dormito dieci ore, mi sono svegliato e sono andato al lavoro.

Be’, è implicito che se vai al lavoro ti sei svegliato.

Dopo aver dormito dieci ore, sono andato al lavoro.

Mario e Luigi si guardarono reciprocamente l’un l’altro.

Praticamente in una frase l’atto di guardarsi è ripetuto due volte. Se Mario e Luigi si guardano, è già implicito che si guardano sia ripetutamente sia l’un l’altro, non serve specificare.

Il piano è andato in porto, nulla ne ha inceppato i meccanismi.

Se il piano è andato in porto, è ovvio che nulla ne ha inceppato i meccanismi.

Meno parole usi in certi casi, e maggiore effetto avrà la frase.

Altri quattro esempi per rendere la tua scrittura più incisiva. Ne sto scovando altri, anche che commetto io stessa, quindi continua a seguirmi per la prossima parte!