Lo scorso luglio è uscito il primo libro di Alfonso Pistilli, nonché il primo volume della collana Policromia che gestisco in collaborazione con PubMe.

A cadenza bisettimanale, su questo blog ospito alcuni approfondimenti sui retroscena del romanzo. Il primo appuntamento ha riguardato i personaggi; oggi, invece, parliamo dell’ambientazione.

Lascio quindi la parola ad Alfonso.

Oggi vi parlo della scelta delle ambientazioni nel mio romanzo.

Perché ho scelto Bari per collocarci L’Ultimo Sorriso?

Per tre ragioni.

La prima è perché la storia ha dei chiari riferimenti a fatti realmente accaduti nella città di Bari, quindi ho ritenuto opportuno confermare la città per dare maggiore credibilità alla vicenda. Chi segue lo sport sicuramente ricorderà il caso di qualche anno fa, quindi sarebbe stato inutile ambientare il romanzo altrove.

La seconda e forse più importante è che essendo il mio primo lavoro ho voluto far muovere i miei personaggi all’interno di ambiti ben conosciuti e riconoscibili.

Ben conosciuti perché è una città che conosco abbastanza bene, ma su questo ci torneremo con il terzo motivo che mi ha spinto a scegliere Bari. Riconoscibili, perché esplicitare nella narrazione luoghi e nomi di vie è un modo per entrare in diretto contatto con i lettori, che conoscano o meno i posti indicati.

Chi li conosce ci si ritrova, chi non li vede da tempo li ricorda, chi non li conosce si potrebbe incuriosire.

Credo che nella scrittura sia importante rendere riconoscibile l’ambientazione perché conferisce quell’aspetto di maggior credibilità alla storia.

La terza ragione a cui accennavo in precedenza è che ho vissuto a Bari negli anni in cui ho frequentato l’Università e ho potuto conoscerla in lungo e in largo, mi ci sono innamorato dei luoghi, delle persone, del modo di vivere, di parlare, di ridere. La considero come la città ideale per viverci e la mia scelta è un atto d’amore verso una città che ammiro da tempo.

Nell’ambito della città ci sono però ambientazioni che ho romanzato per esigenze narrative, quindi non tutti i luoghi descritti nel romanzo esistono veramente.

Il “Bar di Vitino” ad esempio non esiste nella realtà, è frutto della mia immaginazione, sebbene nella città ci siano molti piccoli bar che si possono accostare a quelle descrizioni, soprattutto del barista-proprietario.

Villa Manetti non esiste, così come non esiste, per ovvie ragioni, il tragitto descritto a un certo punto da lì al centro della città.

Non esiste nemmeno il “Vida Loca” anche se negli anni in cui ci ho vissuto, in quel luogo esisteva un locale notturno ma del tutto differente da quello descritto.

Esistono e sono riconoscibili invece sia l’Ufficio di Manetti, nel pieno centro della città, così come la casa del protagonista Alessandro dalla cui finestra osservava il mare:

“Osservo l’incresparsi del mare sotto sporadiche folate di vento, che mi danno la sensazione di avere un phon acceso puntato in faccia. È l’angolo di casa che preferisco.”

Esiste anche la casa di Halina appena fuori dal centro Murattiano della città e il palazzo è riconoscibile anche se credo sia stato ridipinto di un colore diverso dall’amaranto descritto nel libro.

Infine il luogo che ha sicuramente suscitato maggiore curiosità nei lettori è stata la libreria “Parole in tazza”. In molti mi hanno chiesto se quel posto esista per davvero. La risposta è nettamente Sì.

C’è un però. Non ha quel nome e soprattutto non è a Bari.

Lo so, non avrei dovuto infliggere questo colpo a una così bella città, ma quando ho visitato questo posto ne sono rimasto talmente folgorato dalla sua bellezza che non potevo non inserirlo nella mia storia. Il locale è in Sicilia, precisamente a Noto, in provincia di Siracusa, e si chiama “Anche gli angeli”. Nel libro mi sono mantenuto molto fedele alla realtà descrivendo quel luogo, al punto che chiunque voglia può cercare delle foto in rete e rendersene conto.

“Anche gli Angeli” a Noto (foto dal sito)

“Mentre gli aromi del cognac mi avvolgono le narici, mi volto verso il Treruote d’epoca: è proprio qui, dentro il locale, come fosse un soprammobile, sotto una volta a botte ricamata da tanti piccoli mattoncini di pietra.”

Oltre ai luoghi, un aspetto che mi piace evidenziare sono alcuni piccoli particolari dei luoghi che non sfuggono a nessuno, ma che molto spesso siamo portati a rimuovere facilmente dalla memoria per poi ritrovarli quando qualcuno ce li fa notare.

Questa mia volontà di sottolineare questi particolari nasce in un istante preciso. Girando per la città, nella maggior parte dei casi sono al volante della mia auto, la giro in lungo e largo, ma la visuale è sempre parziale. Quando un giorno mi sono accomodato al posto passeggero ho alzato lo sguardo e mi sono accorto di tante cose della mia stessa città che non avevo mai visto prima, tante cose che sfuggono al tran tran quotidiano solo perché abbiamo fretta, ma che riaffiorano se solo qualcuno le mette in evidenza. È questo che ho cercato di fare nel mio libro, evidenziare qualcosa che è sotto il naso di tutti ma che spesso sfugge perché siamo impegnati a fare altro.

Dai riscontri che sto avendo dai lettori credo che questa cosa abbia trovato il consenso dei più, che si sono accorti effettivamente che molto spesso siamo disattenti al mondo che ci circonda.